Dalla sinergia tra Life e la Op Joinfruit, sede a Verzuolo, in provincia di Cuneo, 190 soci, 1700 ettari di superfici coltivate in Piemonte, Veneto, Lazio e Calabria, con una produzione annuale di oltre 80 mila tonnellate di frutta, nasce un progetto di filiera regionale sulla frutta a guscio: noci, mandorle, arachidi e castagne del Piemonte (ma non si esclude anche la nocciola). L’obiettivo è portare sul mercato un prodotto locale e tracciato.
Joinfruit si impegnerà a gestire la parte di competenza, scelta varietale, disciplinare, coordinamento delle attività dei produttori; Life si occuperà di definire la strategia commerciale, compreso il packaging. “Disporre di prodotti del territorio con una filiera certificata -commenta Umberto Sacchi, presidente di Life- è oggi una delle esigenze più sentite dai consumatori: è una richiesta che c’è pervenuta da diverse parti del retail, ma anche un orientamento che la nostra azienda ha già da tempo. Raccogliamo la domanda del consumatore traducendola in input per la produzione: attraverso questo progetto potremo garantire prodotti di altissima qualità del Piemonte, regione che ci ha visto nascere. Una sfida ambiziosa, perché mirata a una connotazione ben localizzata di un preciso territorio”. Al direttore della Op Joinfruit, Bruno Sacchi, chiediamo di raccontarci questa collaborazione.
Perché questo progetto?
È un progetto che crea valore aggiunto. E opportunità di reddito per gli agricoltori. C’è un’esigenza del consumatore e della gdo di avere un prodotto che sia tracciato lungo la filiera e sostenibile. La frutta a guscio ha consumi in aumento e il prodotto italiano ha appeal sempre maggiore ma non c’è un progetto organico sul territorio. I nostri produttori chiedono continuamente cosa piantare. Noi produciamo soprattutto mele e Drupacee, kiwi. Perché non diversificare? Abbiamo iniziato a investire sulle ciliegie con un progetto con Sanifrutta. Il socio Ponso sta sviluppando un progetto sui piccoli frutti, continuiamo a investire sui kiwi.
Qual è il cronoprogramma?
Per ora è un terreno ancora inesplorato: gli ettari coltivati a frutta a guscio sono ancora pochi. Mettiamo in campo qualcosa che oggi non c’è, una filiera. Nel corso di quest’anno vogliamo riunire i produttori potenziali fruitori del progetto, mettere in campo ettaraggi disponibili e che nascono anche dall’esigenza di diversificare e arrivare a un disciplinare. Partiamo dalla parte tecnica, con una produzione integrata, metteremo in campo i nostri agronomi. Sulle castagne, per esempio, si sta investendo molto, ma vogliamo creare non solo una vendita di prodotto fresco, ma anche dei semilavorati.
Come stanno andando le altre produzioni invernali della Op che valorizzano la produzione territoriale di qualità, dalla Rossa Cuneo Igp al Limone Igp di Rocca Imperiale, la pera Nashi, i kiwi?
Purtroppo questa stagione è stata fortemente compromessa dal gelo: è stata un’annata atipica. Il mercato delle mele non è in questo momento brillante; il kiwi ha avuto produzioni ridotte e consumi non eccezionali. Quest’anno tutti i prodotti risentono dell’andamento dei consumi. Gli agrumi per noi sono una nicchia, li abbiamo introdotti nell’ottica di diversificazione del paniere della Op. Su 80 mila tonnellate lavorate, 500 sono di limoni. Il nostro core business sono in ordine le mele, drupacee e kiwi.
Un altro progetto è quello con il Consorzio Ramassin del Monviso-Valle Bronda per la susina Ramassin. Come è andato?
Molto bene, anche se il prodotto è stato martoriato dal gelo. Enorme soddisfazione in termini di liquidazione ai produttori, sensibilmente più alta. E ha premiato la scelta di vendere un prodotto confezionato congiunto a marchio Slow Food, Consorzio Ramassin e Joinfruit.
Come risponde la distribuzione organizzata?
Il Ramassin è una produzione limitata. Quest’anno ce n’era poco ed è andato in Eataly e Carrefour. La pera Nashi ha avuto buoni risultati in Europa, pur colpita dal gelo. Storicamente, come Op, siamo nati come esportatori: stiamo entrando progressivamente, da due-tre anni, nelle insegne italiane. Sulla gdo c’è sempre un po’ la difficoltà a conciliare il prodotto di filiera con il prezzo. È importare incrociare le esigenze: noi dobbiamo produrre di più e loro valorizzare la produzione locale.
Fate lotta integrata ma l’Ue ci chiede di aumentare la superficie bio.
La produzione bio incide per il 3-4% del nostro fatturato, ma c’ è l’intenzione di aumentarla. Con il dipartimento di Biologia vegetale dell’Università di Torino stiamo partendo con un progetto di ricerca destinato alla riduzione di fertilizzanti. Faremo i primi test con aziende pilota. Altro progetto in corso i locker: stiamo perfezionando su dove sistemare le location a Torino e Milano. Altra opportunità per valorizzare la filiera.