Fairtrade: lo stato dell’arte sulla sostenibilità nell’ortofrutta

Nella sostenibilità oggi c’è la tendenza, che si può rilevare anche nel mondo dell’ortofrutta, a privilegiare l’aspetto “dell’ecologia (l’ambientalismo) rispetto -illustra Thomas Zulian, direttore commerciale di Fairtrade Italia– all’aspetto economico e

Thomas Zulian, direttore commerciale di Fairtrade Italia

sociale”. Fairtrade, marchio di certificazione e movimento internazionale per la sostenibilità e i diritti umani e ambientali, lavora per far riconoscere un prezzo minimo “al produttore, che tenga conto dei costi nel momento in cui i prezzi di mercato sono bassi -continua il direttore-. A livello europeo, in alcuni mercati, il prezzo Fairtrade è diventato un riferimento. Così è per quanto riguarda le banane, per esempio. Ci son esempi virtuosi. In Colombia, Repubblica Dominicana, Ecuador e Perù siamo riusciti ad andare oltre il prezzo minimo: abbiamo individuato, attraverso uno studio un salario dignitoso per i lavoratori della filiera delle banane”.

 

Ortofrutta indietro tra i comparti certificati da Fairtrade?

La situazione dei prodotti certificati Fairtrade, nell’ortofrutta, è quella di un settore importante in cui però molto lavoro ancora resta da fare. Cosa manca? “Nell’ortofrutta -spiega Zulian- quello che molto spesso manca è un approccio strategico alla sostenibilità. Ci sono persone capaci e sensibili, che fanno progetti molto interessanti ma sono legati più alla loro capacità e sensibilità, piuttosto che a una strategia a tutto tondo”.

Banane, principale prodotto certificato Fairtrade

Tra i prodotti certificati da Fairtrade le banane sono il principale e sono cresciute a volume nel 2023, oltreché a valore. Il tutto anche grazie a un andamento positivo nella gdo. “Posto che nel mercato le situazioni sono molto differenziate -commenta il direttore commerciale- noi abbiamo una visione molto ampia sulle banane: un prodotto non semplice da trattare dal punto di vista del prezzo. Non esistendo una borsa valori che la tratta come materia prima, spesso ci sono operazioni non trasparenti. Quella delle banane sarebbe tutto sommato una gestione piuttosto semplice, essendoci grandi quantità e una sola tipologia disponibile. Servirebbe giocare su accordi di collaborazione lungo tutta la filiera, sulle banane sarebbe possibile ragionare anche su un tema di prezzo sostenibile. Se i retailer lavorano su prodotti con minori volumi e diverse tipologie, ciò complica il loro lavoro”.

Un equo compenso per i lavoratori della filiera

Per cercare di portare il pubblico più vicino a prodotti che siano garantiti provenire da una filiera senza sfruttamenti, dove ai vari attori sia stato garantito un pagamento equo, serve lavorare per un cambio di mentalità, “serve un’educazione del consumatore -continua Zulian-: fargli notare non solo il prezzo ma ciò che c’è dietro in termini di valorizzazione della filiera. Noi lavoriamo in prima persona con le organizzazioni agricole, che solitamente sono l’anello debole della catena: in un rapporto corretto tutti i soggetti dovrebbero avere il loro equo margine. Se si combatte una guerra al ribasso tra insegne sui prezzi, si distrugge solo valore e nel lungo termine nulla torna alla filiera: è una strategia perdente”.

Prodotti dell’ortofrutta certificati Fairtrade in gdo: a che punto siamo?

Sono in essere oggi “dinamiche che han consentito a gruppi della gdo europea di impegnarsi a pagare quello che valevano i prodotti certificati Fairtrade -spiega ancora il direttore-, consentendo ai produttori di banane di ottenere il loro salario dignitoso: è il caso di Sainsbury in Inghilterra, riportato a febbraio; lo stesso vale per Lidl in Germania. Questo un riconoscimento del lavoro di Fairtrade”. Il cambio di mentalità che pone la sostenibilità, in ogni suo aspetto, al centro dell’operato è un trend in atto, comunque e oggi “le insegne più evolute mettono in collegamento gli uffici di csr con quelli degli acquisti, facendo sì che ci sia stretta collaborazione fra chi si occupa di sostenibilità e chi di acquisti”. Complice di questo fenomeno anche una legislazione europea sempre più stringente: “È stata approvata una direttiva che riguarda i diritti umani delle filiere produttive: all’interno dell’Unione europea non dovrebbero più essere commercializzati prodotti che non rispettino i diritti umani. All’interno delle convenzioni Onu ci sono richiami al reddito dignitoso”.

Gdo italiana verso un futuro più sostenibile?

La gdo italiana se arriva a queste cose ci arriva dopo ma secondo me è questione di tempi. In certi contesti ci sono magari consumatori a volte più attenti, più evoluti da un punto di vista di approccio alla sostenibilità. Ma è una questione di tempo e questa sensibilità arriverà anche da noi. È una maratona. Certe insegne che operano in Italia hanno la testa all’estero e un po’ alla volta cominciano a introdurre nel mercato italiano le novità in termini di sostenibilità adottate negli altri Paesi. Con persone più giovani e donne all’interno del mondo ortofrutta nel retail speriamo che questo processo possa essere agevolato. Non so se ci vorranno 2, 3, 5 o 10 anni ma con l’accelerazione anche a livello normativo, è mia opinione che le cose comincino a marciare nel verso giusto anche da noi con una certa con una certa velocità”, conclude Zulian.

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