La proposta di ristorazione vegetariana è in continua crescita, sostenuta dai nuovi stili di vita. Un esempio è Altatto, aperto a Milano in zona Greco, un bistrot con una trentina di posti. È guidato da tre chef donne socie fondatrici, Giulia Scialanga, Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi, tutte con esperienza al ristorante stellato di Pietro Leemann, cui si è aggiunta Caterina Perazzi, anche lei ex Joia.
Da poco è uscito un libro che ne racconta le ricette, divise per mese. “Ci siamo conosciute nella cucina del Joia -spiegano-. Sei anni fa Altatto nasce come catering vegetariano prevalentemente per aziende, eventi di moda e design. Da giugno dello scorso anno è diventato bistrot. Lavoriamo unite, non c’è un executive chef”.
Una sorta di km 0 che valorizza i piccoli produttori: pere selvatiche, radicchio rosa di Gorizia
Tutto il mondo vegetale viene esaltato con fantasia (“i limoni spremuti, privati della parte bianca, un volta fritti, sanno quasi di calamaro”): funghi, legumi, cavolo nero, carciofi, castagne, nocciole, cavolfiore. Tutto ruota intorno al menu degustazione. “Seguiamo la stagionalità e cambiamo il menu tutti i mesi. Lavoriamo molto sulle microstagioni. In ottobre abbiamo avuto nella piccola pasticceria delle pere selvatiche, solo quel mese. La materia prima è frutto di ricerca in cascine fuori Milano, come Cascina Fraschina, o da microproduttori: porcini da un raccoglitore della Valtellina, le castagne le abbiamo raccolte noi in Liguria con attività di foraging”.
Tra i prodotti particolari l’insalata del minatore, molto resistente al freddo, radicchio rosa di Gorizia, le pere Martina. “Siamo una sorta di km 0, a esclusione di alcuni prodotti specifici, agrumi dalla Sicilia, spezie che sono frutto dei nostri viaggi e ricerche. I prodotti sono anche bio, ma non necessariamente (ci piace chi lavora bene) ma quasi esclusivamente da piccoli produttori locali”.
Cucina zero sprechi: un amaro dalle foglie del carciofo
La cucina si basa su tre principi, ispirazione, tradizione e innovazione. “La nostra è cucina di contaminazione, risente anche dei viaggi: dal Giappone abbiamo portato la cultura dei brodi: proponiamo un dashi rivisitato”.
Attenzione è riservata alla sostenibilità e riciclo. “Lavoriamo solo su prenotazione e ci aiuta per una cucina zero sprechi. Siamo plastic free. Non buttiamo nulla, dalle foglie dei carciofi produciamo un amaro. Con gli scarti del porcino abbiamo fatto dei burger per un pane home made”. La clientela è varia, il bistrot è accessibile anche a molti giovani. “Sono per lo più onnivori e non vegetariani: una soddisfazione. Altatto prende il nome da uno dei cinque sensi: la scelta significa l’importanza che ha per noi la matericità. Per questa ragione proponiamo spesso con il nostro catering finger food e ora nel bistrot piatti che si mangiano con le mani”. Durante il lockdown era nato anche Altatto a casa tua, una proposta di delivery diversa: con l’invio a domicilio di tutti gli ingredienti già pesati e la ricetta. Un’esperienza anche di cucina.