Il raccolto lo fanno gli altri, ma lo gestisce il cliente in remoto con una app, anche se non sa nulla di terreni e coltivazioni. Si chiama Orto 2.0 e non è un gioco. Ma un sistema inventato da una start up romana per avvicinare il consumatore al coltivatore.
Con la app si scelgono i prodotti da coltivare e si monitora 24 ore su 24 il lavoro svolto. Il surplus del raccolto si baratta nella community
La cooperativa agricola Orto 2.0 è stata fondata da 6 studenti dell’Università Tor Vergata, facoltà di Economia e Ingegneria. Tanto che i terreni sono stati ricavati all’interno dell’orto botanico dell’Ateneo. Il sistema è semplice. Basta scaricare una app (dalla prossima settimana sarà disponibili sulle piattaforme Ios e Android) e scegliere quali colture coltivare su 50 metri quadrati assegnati, divisi in 8 file (su ogni fila ci stanno fino a 36 piante). Sarà il team di Orto 2.0, con diversi partner, a occuparsene.
“Noi coltiviamo per i clienti – spiega Stefano Di Febbo, uno dei soci –, che possono monitorare il lavoro da una app, grazie a una web cam che controlla 24 ore su 24 l’orto. Quando il raccolto è pronto, possono venire a prenderlo o lo portiamo direttamente a casa. Possono anche interagire con la community, scambiando i prodotti in surplus per avere meno spreco”.
Si scelgono fino a 16 tipi di prodotti stagionali coltivabili in 50 mq
Sull’orto virtuale si possono scegliere fino a 16 tipi di coltivazione stagionale: pomodori, zucchine, cipolle, melanzane, peperoni. E per ognuna si può optare anche per più varietà come Pachino, Datterino, Corbarino. Il sistema di notifiche permette di essere aggiornati su ogni momento della coltivazione, dalla semina al raccolto.
L’obiettivo è lanciare il modello in franchising in tutta Italia
A oggi sono 40 gli iscritti. L’area di fornitura dei prodotti è al momento limitata, entro 10 km dall’orto botanico. “L’obiettivo è lanciare questo modello in franchising in tutta Italia” sottolinea Stefano. La start up punta anche a rigenerare spazi periurbani inutilizzati, valorizzando la biodiversità. “Facciamo ricerca: cerchiamo anche semi di varietà antiche o estinte che miriamo a riportare in auge. I prodotti non sono certificati bio, anche se non usiamo sostanze chimiche”.