Pronto alla privatizzazione parziale il Car, Centro agroalimentare di Roma dal momento che il comune ha annunciato, nei mesi scorsi, di volere vendere la sua quota, con una procedura di evidenza pubblica.
Le partecipazioni. Si tratta di una quota rilevante, il 28% dal momento che l’ente capitolino è il secondo azionista dopo la Camera di Commercio (33%), seguito dalla Regione Lazio (con il 26%) mentre la restante parte delle quote è distribuita tra provincia e banche quali Unicredit, Bnp Paribas Bnl e Mps.
Tra i possibili acquirenti, oltre a figure di rilievo dell’imprenditoria edile e finanziaria della capitale anche dei fondi di investimento asiatici e arabi attratti dal volume di affari di questo importante mercato all’ingrosso, il primo in Italia ed il quarto in Europa.
Il bilancio 2014. Positivo l’andamento del 2014 che è stato chiuso con un aumento del 3,5% rispetto all’anno precedente del valore della produzione (16,5 milioni di euro) ed il raddoppio dell’utile netto (da 621mila euro a 1,4 milioni) nonostante l’incremento dei costi per servizi, determinato, come ha spiegato il direttore generale, Fabio Massimo Pallottini «dall’aumento delle spese per la sicurezza. Il Car è come un posto di frontiera, dopo Lampedusa ci siamo noi. La pressione di stranieri, spesso irregolari, che cercano di forzare gli accessi per trovare un lavoro occasionale all’interno della struttura è sempre più forte e noi dobbiamo pagare i servizi di sorveglianza. A questo vanno aggiunte le svalutazioni per i canoni non pagati sugli spazi locati».
Gli step. Dopo la delibera del comune di Roma dei mesi scorsi, il processo di privatizzazione è stato reso possibile anche da un recente riassetto della governance che ha portato alla fusione per incorporazione, lo scorso novembre, della società di gestione Cargest srl decisa in funzione non solo della privatizzazione programmata ma anche dei piani di consolidamento delle attività sul territorio del Paese e all’estero.
Il piano “Italmercati”. La governance potrebbe essere rivisitata anche in relazione al progetto di Italmercati-Reti di imprese, appena partito, una sorta di network che accorpa i principali centri agroalimentari italiani (Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze i fondatori ma con Bologna e Verona pronti a fare il loro ingresso). «A titolo personale posso dire che una governance societaria comune – ha detto Pallottini – tra i maggiori centri italiani sicuramente consentirebbe di fare molte più sinergie e aiuterebbe lo sviluppo delle attività previste e legate, ad esempio alle economie di scala o all’aumento delle efficienze, al sostegno dello sviluppo, dell’export e dello scambio di know-how».