“Il futuro commerciale per l’agrifood del Mediterraneo è la co-produzione”. Così Jean-Luis Guigou, delegato generale di Ipemed, l’Istituto francese per le prospettive economiche del Mediterraneo ha introdotto la conferenza dal titolo “Transizioni politiche ed economiche nel Mediterraneo: quali prospettive per il settore Agrifood che si è tenuta questo pomeriggio a Medfel.
Le co-produzioni. “Nel ridisegnare la mappa commerciale di quest’area – ha spiegato – bisogna mettere da parte l’ambizione sia pure generosa e ragionare in termini di interessi condivisi. Dobbiamo passare dallo scambio commerciale alla co-produzione per avere un piede a nord ed un piede a sud. Occorre creare delle associazioni di produttori tra il nord e il sud del Mediterraneo in grado di produrre e vendere su entrambe le sponde del bacino”.
Si riapre con forza il dibattito su una label, un’etichetta, unica del Mediterraneo ma il percorso è tutt’altro che semplice se si considera che, per dirne qualcuna non di poco conto, ci sono problemi di instabilità politica nei paesi del Maghreb, di arretratezza del modello produttivo e dei canali della distribuzione. Mentre sul fronte europeo, non esiste una politica comunitaria che abbia, al momento, destinata a costruire un asse nord-sud del settore agrifood.
L’asse Nord-sud. “Abbiamo esplorato questo campo politico – ha spiegato Jean-Luis Rastoin, professore emerito presso SupAgro e direttore del cattedra Unesco Unitwin, Network World Food – con la riforma 2013 della Pac ma la risposta dell’Europa all’epoca era stata: abbiamo 28 Stati membri da gestire e quello che ci prospettate è un processo molto complicato sicché lasciamo perdere il discorso dei Paesi del sud del Mediterraneo. Tra le difficoltà principali, la logic aradicata individualista delle imprese piccole e piccolissime del tessuto produttivo e l’incapacità di cooperare”.
“Una label del mediterraneo – ha spiegato Xavier Beulin, presidente di Fnsea,la federazione francese dei sindacati degli agricoltori – potrebbe essere utile anche per risolvere situazioni conflittive nel commercio di frutta e verdura dal momento che sarebbe funzionale a presentare le nostre produzioni a quei paesi differenziandole per i loro valori aggiunti, primo fra tutti la qualità. I paesi del Maghreb hanno bisogno di qualità e, inoltre, potrebbero costituire una sorta di trampolino verso le economie dell’area sub-sahariana a cui stiamo guardando seriamente”.
Gli step. Basterebbero dieci grandi produttori distribuiti tra i principali Paesi interessati, come l’Italia, ad esempio o la Spagna, Francia, Marocco, Tunisia. Dieci grande aziende che mettendosi d’accordo potrebbero dare il via libera all’operazione che poi però dovrebbe essere supportata dalla politica.
L’asse verticale Nord-Sud del Mediterraneo, teorizzata come una sorta di Pac mediterranea riguarderebbe un mercato di circa 90 milioni di abitanti tra Marocco, Tunisia e Algeria e serie prospettive per l’export agroalimentare (verso quei Paesi) che, per la sola Francia, vale circa 17 miliardi di euro con importanti prospettive di crescita da qui al 2050. “Riusciremo a fare questo – continua Rastoin – quando i Paesi del sud-Mediterraneo si saranno strutturati. E se riusciremo a farlo avremo fatto la gran parte del lavoro”.
Il bacino economico. In realtà a livello micro-economico i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo sono molto intense e i Governi a nord e a sud del bacino stanno iniziando a programmare politiche che favoriscano gli scambi, in questa prima fase, non solo commerciali ma anche e soprattutto di know-how. In questo senso va, ad esempio, il programma nato dalla conferenza Euro-mediterranea, figlia del semestre italiano alla Presidenza del Consiglio Europeo che si è tenuta a Palermo alla fine del 2014. Tra gli obiettivi comuni quello di sviluppare iniziative congiunte per garantire la sicurezza alimentare in quelle aree anche in vista delle sfide climatiche ancor più esacerbate nei paesi a nord del Sahara che soffre di problemi endemici di siccità e che, proprio per questo, ha bisogno di tecnologie innovative in grado di fare fronte al fabbisogno crescente di acqua e di terreno fertile.
Il risanamento delle acque. “Abbiamo stimato – spiega Guigou – che per il risanamento delle acque di tutti i Paesi del Mediterraneo servirebbero 17 miliardi di euro all’anno ma attualmente non ci sono. Abbiamo contabilizzato, però, che l’inquinamento del Mediterraneo è legato prevalentemente al passaggio di imbarcazioni asiatiche che attraversano Suez e il Bosforo per raggiungere, attraverso Gibilterra, porti come, ad esempio, Rotterdam. Se ciascuna di quste navi pagasse un importo di 7 euro ciascuna per il passaggio nel Mediterraneo, si potrebbe ottenere una cifra come 40 miliardi di dollari l’anno. Per fare questo occorrerebbe rivedere tutti i trattati internazionali e questo sarà l’ordine del giorno previsto per la conferenza di Parigi e di Marsiglia di fine anno dedicata al risanamento dell’acqua potabile per usi alimentari e irrigui””.
