Torino studia il modello del mercato di Barcellona

Il modello da studiare sarà quello del mercato di Barcellona, il Mercabarna che con le sue 1,8 milioni di tonnellate di prodotti ortofrutticoli movimentate ogni anno è il più importante centro logistico del mediterraneo per il settore ortofrutticolo.

La missione. L’idea che ha spinto una delegazione di Apgo Torino, l’Associazione piemontese dei grossisti di ortofrutta, ad andare a guardare da vicino come funziona questo gigante della logistica europea di F&V è quella di iniziare a ragionare, sulla possibilità di applicare l’orario diurno, e non più notturno, anche al Caat, il centro agro-alimentare di Torino.

Una vera e propria rivoluzione che per Barcellona è iniziata negli anni Ottanta e che, nel corso del tempo ha portato i suoi frutti. L’intercettazione di nuovi clienti, ad esempio, o la possibilità di dialogare in tempo reale con i buyer della media e grande distribuzione – che pure sono interlocutori abituali dei mercati all’ingrosso, senza però dimenticare i clienti tradizionali.

L’orario diurno. «Abbiamo iniziato a prendere in considerazione – spiega Ottavio Guala, presidente di Apgo Torino – l’idea di applicare l’orario diurno a Torino. La riflessione è appena iniziata e comporterà l’avvio di un processo molto lungo e complicato che deve essere necessariamente condiviso con tutte le componenti del mercato e con i partner stranieri dato che importiamo da molti Paesi come Spagna, Polonia, Sudafrica o Sudamerica e verso altre destinazioni esportiamo le eccellenze italiane. Tra i vantaggi che comporterebbe l’orario diurno ci sono anche i risparmi che si genererebbero in termini di minor costo della manodopera, il minore fabbisogno energetico e non da ultimo l’aumento della qualità della vita degli operatori stessi che non sarebbero più costretti alle levatacce notturne».

La riduzione della qualità della vita, male comune a tutti i mercati all’ingrosso italiani, avrebbe determinato, negli ultimi anni, un significativo rallentamento del ricambio generazionale ed un progressivo incremento delle cessioni aziendali all’interno dei centri agro-alimentari che a Torino riguardano il 20% circa del totale.

In pratica, i figli degli esercenti, che magari nel frattempo hanno conseguito un titolo di studio, sempre più difficilmente accettano di prendere in mano l’attività familiare anche a causa dei pesanti orari lavorativi.

Lo studio. «Crediamo che il nostro lavoro – precisa Guala –si possa fare con tutti gli aiuti possibili dalla tecnologia e dalla logistica ma se fino ad ora non ci sono stati grandi cambiamenti è perché operatori e acquirenti del mercato rimangono ancora legati ad abitudini radicate. La sfida sarà quella di riuscire a dimostrare che un orario diurno migliorerà la qualità della vita ma soprattutto produrrà dei benefici economici».

Così sarà avviato, nelle prossime settimane, uno studio costi-benefici che servirà a produrre un documento su cui iniziare la riflessione con tutte le componenti del mercato e che dovrebbe essere pronto già dalle prime settimane del 2016.

Le piattaforme logistiche. Sarà un lavoro complesso dal momento che fa parte di questa stessa partita anche l’idea di ottimizzare la naturale vocazione dei centri agroalimentari quali piattaforme logistiche a supporto dell’internazionalizzazione.

Un tema caldo oggi che è, fra l’altro, anche uno dei cavalli di battaglia di Italmercati, il network dei più importanti mercati italiani a cui, non a caso, aderisce anche Torino che, sempre tramite Guala, ha un posto all’interno del comitato di gestione.

«Determinante sarà il ruolo della politica – chiosa Guala – non solo in fase di coordinamento ma anche di progettazione sicché abbiamo accolto con favore la presenza dell’assessore al commercio e al lavoro del comune di Torino, Domenico Mangone, tra i membri della delegazione. È stata utile senza dubbio ma sarebbe auspicabile anche un interesse a livello nazionale. In questo senso, se lavorare allo sviluppo delle nostre piattaforme logistiche è l’impegno di Italmercati, gli operatori di Torino non possono che condividerne l’obiettivo».

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