Il mercato italiano dell’agricoltura 4.0 (l’utilizzo di diverse tecnologie interconnesse per migliorare resa e sostenibilità delle coltivazioni, qualità produttiva e di trasformazione, nonché condizioni di lavoro) continua a crescere. L’anno scorso ha raggiunto il valore di 450 milioni di euro (+22% rispetto al 2018, il 5% del mercato globale), con la maggior parte della spesa concentrata in sistemi di monitoraggio e controllo (il 39% della spesa), software gestionali (20%) e macchinari nativamente connessi (14%), seguiti da sistemi di monitoraggio da remoto di terreni e colture (10%), di mappatura (9%) e strumenti di supporto alle decisioni (5%).
Oggi ci sono 415 le soluzioni 4.0 disponibili per il settore agricolo in Italia, offerte dall’agricoltura di precisione e, in misura minore, dallo smart farming (tutte le applicazioni del digitale adottate nei processi “non di campo” delle aziende agricole), soprattutto nelle fasi di coltivazione, semina e raccolta dei prodotti alimentari nei settori ortofrutticolo, cerealicolo e vitivinicolo.
Il boom della blockchain
Tra le soluzioni digitali innovative per la tracciabilità alimentare in Italia si assiste al boom della blockchain, che nell’ultimo anno è più che raddoppiata e che caratterizza il 43% delle soluzioni disponibili, seguita da QRCode (41%), mobile app (36%), data analytics (34%), e l’Internet of things (Iot, 30%).
In generale, dopo la finanza e la pubblica amministrazione, è proprio l’agrifood il terzo settore per progetti operativi blockchain, avviati dalle imprese soprattutto per incontrare opportunità commerciali, rendere più efficienti i processi di supply chain e raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale.
Ma cresce anche il numero di nuove realtà che propongono soluzioni digitali al settore agricolo: sono 737 le startup agrifood a livello internazionale, per un totale di 13,5 miliardi di dollari di finanziamenti raccolti, attive soprattutto negli ambiti eCommerce (70%) e agricoltura 4.0 (20%). Le startup italiane, però, assorbono solo lo 0,3% dei finanziamenti complessivi.
Covid-19, le opportunità
In piena emergenza sanitaria Covid-19, il digitale può aiutare il settore agroalimentare a garantire sicurezza (in termini di cibo prodotto, ma anche di persone impiegate) ed efficienza a tutti gli attori della filiera.
Anche per le imprese agricole che avevano iniziato la digitalizzazione i vantaggi sono numerosi. Intanto, il monitoraggio da remoto delle coltivazioni attraverso droni e sensori IoT in campo permette di disporre di informazioni oggettive in tempo reale e riduce la necessità di recarsi sul posto. Ma il digitale consente di avere piena visibilità delle giacenze per riadattare le forniture ed evitare gli sprechi, raccogliere dati lungo tutte le fasi della filiera e condividere informazioni per rispondere alla richiesta da parte di consumatori e distributori di maggiori garanzie sul prodotto. Infine, se da un lato assume sempre più rilievo l’e-commerce food, dall’altro si assiste a una riscoperta dei negozi di prossimità che si stanno sempre più attrezzando digitalmente per rispondere alle esigenze dei clienti in questo momento particolare.
Le evidenze di un convegno online
Sono questi alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano e del Laboratorio Rise (Research & innovation for smart enterprises) dell’Università degli Studi di Brescia presentata ieri al convegno online “Il digitale è servito! Dal campo allo scaffale, la filiera agroalimentare è sempre più smart“.
Il mercato mondiale dell’agricoltura 4.0 ha raggiunto il valore di 7,8 miliardi di dollari (+11% rispetto al 2018). Come anticipato, in Italia, che ne rappresenta il 5%, l’incremento è del 22%, con un fatturato di circa 450 milioni di euro, generato per l’86% da operatori affermati nel settore, come i fornitori di macchine e attrezzature agricole, e per il restante 14% da startup e altri attori emergenti, provenienti da altri settori di business.
Le 415 soluzioni di Agricoltura 4.0 in Italia sono offerte da più di 160 aziende strutturate (77%) e startup (23%), oltre 100 in più rispetto alle proposte mappate nel 2018. Oltre metà di queste è applicabile in diversi settori agricoli (56%), mentre fra le soluzioni indirizzate a settori specifici prevalgono quelle rivolte al comparto ortofrutticolo (21%), cerealicolo (20%), vitivinicolo (16%). Ancora poco presente lo Smart Farming, su cui si concentra solo il 13% delle soluzioni. L’attività agricola più interessata dalle proposte di Agricoltura 4.0 è la coltivazione (79% delle soluzioni), seguita da semina (41%), raccolta (36%), pianificazione (11%), magazzino (4%) e logistica (4%). Dall’analisi delle tecnologie utilizzate emerge la crescente importanza della gestione dei dati: il 72% delle soluzioni è legato a software per l’analisi avanzata dei dati, il 61% è costituito da piattaforme software capaci di ospitare dati provenienti da diverse fonti e il 50% riguarda strumenti che sfruttano l’Internet of things (+6% sul 2018). Le altre tecnologie più adottate sono dispositivi di ultima generazione (45%), mobilità e geolocalizzazione (35%), veicoli e attrezzature connesse (20%) e sistemi Ict on Cloud (9%).
Perché 4.0
Secondo un sondaggio condotto dall’Osservatorio, su 288 imprese agricole, le aziende del settore investono in soluzioni 4.0 principalmente per migliorare la sostenibilità ambientale delle proprie coltivazioni, aumentare la consapevolezza delle dinamiche in atto all’interno della propria azienda, ridurre i costi e semplificare il lavoro intellettuale. Questi obiettivi influenzano la scelta delle soluzioni tecnologiche, con i software gestionali in cima alle preferenze delle imprese (66%), seguiti da sistemi di mappatura di coltivazioni e terreni (40%), strumenti per monitorare le macchine agricole (39%) e sistemi di supporto alle decisioni (31%), mentre sono ancora poco diffusi robot e droni. Le aziende di medie dimensioni adottano più soluzioni, le più piccole investono in una sola nel 70% dei casi. La mancata interoperabilità dei sistemi aziendali è la barriera principale, insieme alla mancanza di competenze e alla (ridotta) connettività, mentre non preoccupa il rientro dall’investimento impiegato per elaborare dati sulle colture.