«Dobbiamo intervenire con urgenza piantando almeno 1,5 milioni di nuove piante di agrumi nei prossimi due anni altrimenti c’è un rischio altissimo che la filiera agrumicola siciliana esca fuori dal mercato». È l’allarme lanciato da Paolo Rapisarda, direttore del Centro di ricerca per l’agrumicoltura e le colture mediterranee (Acm) di Acireale a margine di un convegno sul vivaismo agrumicolo che si è tenuto oggi presso la sede del Cra di Acireale.
I focolai. «Il virus Citrus tristeza ha infettato quasi la metà degli agrumeti siciliani – ha spiegato Rapisarda – creando ampi focolai che interessano oltre 32mila ettari e circa 15 milioni di piante soprattutto nelle province di Catania e Siracusa. E il contagio non si arresta. Ogni anno si estende a nuovi terreni determinando un crescente calo di produzione che ha dei riflessi importanti sul commercio degli agrumi».
Il mercato. Secondo gli esperti, esiste una soglia fisiologica di produzione di agrumi al di sotto della quale i grandi buyer della distribuzione organizzata farebbero fatica (a causa soprattutto dell’eccessiva frammentazione della produzione) a trovare un interlocutore in grado di offrire i quantitativi richiesti dal mercato. Abbassando troppo il livello di produzione, insomma, il comparto fatto da piccole e piccolissime imprese non sarebbe più competitivo.
Le arance. Per le arance di Sicilia, ad esempio, la soglia fisiologica stimata al di sotto della quale c’è il rischio di espulsione dal mercato è di circa 800mila tonnellate all’anno. Attualmente la produzione si attesta su 1,2 milioni di tonnellate l’anno ma di questo passo, con l’estendersi dei focolai e dei terreni contaminati dal virus, il calo crescente di produzione rischia di avvicinarsi al punto critico.
il tavolo tecnico ue. «Occorre intervenire – spiega Corrado Vigo, presidente della federazione degli ordini degli agronomi della Sicilia – e bisogna farlo subito ma la difficoltà è che si tratta di investimenti molto importanti che le piccole aziende del territorio, siano essi agricoltori o vivaisti, non sono in grado di sostenere da soli. Per questo, al tavolo tecnico istituito presso la Commissione europea dove partecipo nel ruolo di delegato di Confagricoltura, abbiamo chiesto da maggio del 2013 di creare un piani agrumi di emergenza che preveda aiuti speciali per far fronte alla situazione. Sulla carta abbiamo avuto dei riscontri positivi perché l’Europa, pochi mesi dopo ha inviato degli ispettori a verificare la situazione ed ha promesso di attivare un monitoraggio della filiera per poter poi predisporre le iniziative necessarie. Di fatto, in due anni ancora non è partito nulla».
Gli investimenti. Secondo le stime dell’agronomo Vigo servirebbero 350 milioni di euro per riconvertire tutti i campi oggi infestati dal citrus tristeza che ha mandato in malora qualcosa come 15 milioni di piante di agrumi ma, al momento, sul piatto, oltre a non esserci le piante certificate virus esenti, non c’è neanche un centesimo.
«La richiesta che la filiera agrumicola farà per il Psr – ha chiarito Rapisarda – è di circa 25 milioni che sono solo una piccola parte di quello che ci vorrebbe. Questa somma potrebbe servire per fare gli interventi più urgenti per i prossimi 2 o tre anni. Tuttavia al momento il Psr è in ritardo e non sappiamo neanche quali saranno le misure destinate al comparto agrumicolo».
I vivaisti. Se anche ci fossero i soldi (25 milioni di euro non basterebbero a riconvertire neanche 2mila ettari) resterebbe comunque un problema di fondo. Ossia: di quel milione e mezzo di piante di cui c’è urgente bisogno per evitare un gap di produzione, attualmente non c’è traccia. I vivaisti impegnati per la realizzazione di materiale di propagazione sarebbero solo due in tutta la Sicilia e, da soli, non possono soddisfare tutta la richiesta.
«Da due anni – spiega Michele Faro dell’omonimo vivaio – abbiamo destinato, di nostra iniziativa, un ettaro dei nostri campi a creare materiale di propagazione. Abbiamo investito circa 100mila euro per arrivare a produrre 200mila piante ma il numero è assolutamente insufficiente. Non è neanche pensabile che i piccoli vivaisti della regione possano farsi carico di questo tipo di investimenti troppo onerosi. Al convegno di oggi siamo stati tutti d’accordo nel ribadire l’importanza fondamentale dell’aiuto delle istituzioni».