Cambia il piano industriale di LocalGreen, la start up nata nel 2019 che propone mix innovativi di insalate con la tecnica dell’aeroponica. Dopo il primo test nei punti di vendita di Coop Lombardia sarebbe dovuto nascere un impianto produttivo a Milano, con tanto di packaging ad hoc. Sorgerà invece nel Pavese, con un investimento previsto di 15 milioni. Il lancio dei primi prodotti nella primavera del 2022, con diverse novità, come racconta il co-founder Paolo Forattini.
Un cambio di strategia.
Sì, abbiamo in previsione un impianto più grande nella provincia di Pavia. I lavori sono in fase di partenza e l’apertura sarà fine primavera 2022. Il sito produttivo avrà una superficie di 6 mila metri quadri e sarà in grado di ospitare fino a 6 moduli: ogni modulo ha una capacità produttiva di 1500 metri quadri. Produrremo inizialmente 25 mila buste la settimana, ma la capacità andrà aumentando. Entro l’anno abbiamo in programma di raddoppiarla.
Quali referenze arriveranno? La grafica del packaging evidentemente non sarà più ispirata a Milano.
Stiamo sviluppando l’immagine del pack in questi mesi ed il lavoro è in corso d’opera. Sul prodotto ci sarà una quarta referenza oltre a quelle già presentate. Le tre lanciate hanno dato buoni risultati, ma implementiamo la gamma con un prodotto più classico per intercettare i bisogni di chi non vuole acquistare varietà troppo diverse a quelle cui è abituato: sarà simile al lattughino, ma più croccante e saporita. Sarà dunque presente un monoprodotto e tre mix. Le varietà rappresentano una vera novità: in primis kale e acetosella senza dimenticare senapi e mizuna. La qualità proposta è estremamente alta e siamo fiduciosi che i consumatori ci premieranno.
Cosa non funzionava nella scelta di Milano?
Milano ci obbligava a scegliere uno spazio senza darci la possibilità di svilupparci velocemente. Ci siamo scontrati con le difficoltà delle infrastrutture, per esempio la disponibilità di energia elettrica e la logistica. Abbiamo scelto una strada alternativa. Il progetto prevede un capannone è dotato di impianto fotovoltaico, sia sul tetto che in un’area circostante che permette di produrre fino al 40% dell’energia consumata. E prevediamo altri sistemi con energie rinnovabili. L’intento è andare a utilizzare solo energia certificata “verde”. Il nuovo sito permette maggiore scalabilità, con potenzialità più elevate rispetto al fabbisogno, per essere il più modulari possibili e rapidi. Se un cliente chiede 20 mila buste in più a settimana, in 4-5 mesi devo essere in grado di costruire e iniziare le fasi vegetative della pianta.
E sulla logistica?
La scelta della localizzazione dell’impianto è stata fatta anche per efficientare al massimo la logistica. Ci affidiamo a una flotta esterna, per avere maggiore flessibilità. Il capannone ha le ribalte necessarie per il carico/scarico dei tir. Prevediamo una spedizione giornaliera del prodotto. Ci chiamiamo LocalGreen: non andremo mai a distribuire a 150 km di distanza.
Chi vi sostiene finanziariamente?
Abbiamo una decina di investitori tra cui un fondo di venture capital ma anche numerosi business angel. Saranno 15 milioni di euro gli investimenti sul capannone spalmati in più anni.
Avete una road map, che preveda l’apertura di altri impianti?
Prevediamo investimenti importanti sul primo sito produttivo. Con accordi per implementarne la crescita qualora il primo modulo produttivo dia i risultati che ci aspettiamo. Ma stiamo pensando ad altre aperture, un passo alla volta. La tecnologia è adatta a essere replicata in altri contesti e città.
L’impianto sarà sempre in aeroponica?
Sì, il sistema in aeroponica in parete verticale ci permette un’automazione più snella da implementare e maggior risparmio. L’impianto è totalmente automatizzato, l’umano resta comunque al centro ed è determinante nel buon funzionamento del sistema. La presenza umana resta: l’occhio vigile che controlla lo stato di salute delle piante è insostituibile, seppur aiutato da un sistema predittivo della crescita e da una sofisticata architettura di monitoraggio.
Quanto conta la qualità delle luci?
Luci, semi e substrato sono gli elementi più importanti nel vertical farming, stiamo lavorando con diversi collaboratori. Conviene a tutti avere luci più efficienti possibili per ridurre i consumi energetici che sono un po’ il tallone d’Achille delle Vertical Farm. Stiamo lavorando sulla massimizzazione della quantità di biomassa prodotta a parità di input energetico: questo, non dipende solo dalla lampada, ma anche dal lavoro e dalla gestione interni, entrano in gioco tante variabili. L’obiettivo è produrre la massima quantità e qualità possibile riducendo i costi. Ci sono lampade che possono essere rigenerate, sostituendo solo i chip per ridurre lo spreco. Ci sono tante innovazioni in questo campo, è un tema caldo.
Ci saranno a primavera novità anche nel packaging?
Sarà compostabile nell’umido: non il pla, ma altro materiale. Il pla, abbiamo verificato, ha problematiche in termini di performance sulla shelf-life. E ha difficoltà di riciclaggio in base al comune: spesso non si riesce a ottenere una buona compostabilità del prodotto. Abbiamo puntato allora su un nuovo materiale appena uscito sul mercato, un biopolimero, che ha buona trasparenza e ottima shelf-life. Il lancio del prodotto sarà sempre a fine primavera. Passeremo poi dalla vaschetta alla busta.
Come è andata l’esperienza pilota con Coop? Sarà il riferimento principale anche per la seconda fase? Lavorerete anche in ottica pl?
Con Coop continuiamo: la fase di apertura prevede che l’insegna rappresenti una certa percentuale del prodotto, ma ci saranno altri player, non tutti nella gdo. Stiamo lavorando anche su una catena che serve l’horeca. Noi abbiamo bisogno di 4-5 clienti per quell’impianto e in buona parte li abbiamo trovati: una discreta porzione di quello che andremo produrre è già stata contrattualizzata per la vendita. La pl, non è un tabù: nell’ottica di un impianto che cresca, vorremmo essere in grado di intercettare anche quel segmento.
Il nickel free è determinante nella scelta del vostro consumatore?
Ci sono categorie di consumatori diversi e alcune di queste sono molto attente a queste tematiche, come l’assenza di metalli pesanti. Ovviamente non vale per tutti ma è un aspetto in più che interessa a molte persone.
Qual è il vostro posizionamento? Una delle maggiori problematiche dei prodotti da vertical farming è un prezzo che è spesso il doppio rispetto a quello di mercato.
Il nostro prezzo di uscita del prodotto nel test di mercato è stato di 1,50 euro. Oggi ci sono costi di produzioni in aumento e sarà difficile mantenere quella fascia di prezzo. Non vogliamo però produrre un prodotto di nicchia sopra la fascia “psicologica” dei 2 euro: il posizionamento sarà simile a quello del prodotto bio.
Qual è alla fine l’elemento distintivo del vostro prodotto da vertical farming?
La nostra tecnologia, che abbatte i costi di produzione di almeno il 30%. Stiamo scommettendo forte sulla coltivazione verticale che riduce le difficoltà produttive, per esempio il lavaggio e la movimentazione degli scaffali. Poi il prodotto: abbiamo varietà diverse, non lavoriamo esclusivamente su baby leaf, ma anche su piante leggermente più mature, con una dimensione appetibile della foglia nella quarta gamma, maggiore croccantezza, sapore e shelf-life. Poi c’è il tema packaging dove stiamo osando, una scelta che è oggi cruciale.