Uva da tavola e gdo, come cambia l’atteggiamento del consumatore

Un report di SGMarketing durante Luv Fiera ha messo a confronto i dati dei consumatori e i pareri di esponenti della gdo italiana

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Da sempre considerata un prodotto prezioso -gli imperatori romani la mangiavano avidamente sdraiati sul triclinio e Jack lo Squartatore la usava per adescare le proprie vittime- l’uva da tavola oggi sta conoscendo una nuova fase del proprio rapporto sia con il consumatore che con la grande distribuzione. Parlare di filiera, per produzione e distribuzione, oggi più che mai rappresenta una sfida importante che obbliga gli attori del settore a operare facendo fronte a una domanda sempre più volatile e di conseguenza ad adottare modelli di gestione customer based.

Oltre 800 buyer e acquirenti interpellati

Secondo uno studio svolto da SGMarketing per comprendere le abitudini di acquisto e consumo del pubblico e che ha coinvolto 800 tra responsabili acquisti e acquirenti di uva da tavola in tutta Italia, pur avendo perso quote nelle vendite a volume al pari di altre categorie, l’uva da tavola è cresciuta quanto a valore, addirittura del 17% contro una media generale del 3%.

Non solo, ma l’uva da tavola può contare su un 36% di pubblico fidelizzato, che la ricerca tutto l’anno e non soltanto nella stagione appropriata, e ha una forte percezione territoriale dal momento che tre consumatori su dieci la associano a uno specifico territorio d’origine, prevalentemente la Puglia, dalla quale proviene circa il 56% della produzione totale italiana.

Il luogo d’acquisto? Resta sempre il supermercato

E naturalmente la maggior parte degli italiani la acquista al supermercato: “Concordemente con tutto il comparto ortofrutticolo italiano –spiega Salvo Garipoli, direttore di SGMarketing– anche per l’uva da tavola il canale preferenziale di acquisto è quello della gdo, praticato da circa il 60% degli intervistati, anche se il piccolo negozio resiste su un dignitoso 25%. Tra gli altri dati che abbiamo ricavato dal nostro studio risulta che il 42% preferisce acquistarla sfusa o in grandi casse contro il 20% che invece propende per il confezionato, mentre il 38% non ha preferenze e sceglie sulla base di altri fattori, attualmente soprattutto il prezzo per il 42% degli utenti. Per quanto riguarda la tipologia di uva il 21% è ancora affezionato alle varietà tradizionali con semi mentre il 24% predilige le varietà seedless, ma queste cifre cambiano se guardiamo alla zona geografica, con le uve senza semi che al Nord raggiungono il 29% di gradimento e quelle tradizionali che al Sud toccano il 24%. Infine la motivazione che spinge all’acquisto per il 64% è il gradimento al gusto e per il 40% è la convinzione che faccia bene alla salute, mentre incidono poco gli aspetti estetici o l’appartenenza a una Igp”.

Il punto di vista della gdo

“Quella dell’uva da tavola –sottolinea Germano Fabiani, responsabile acquisti di Coop Italia– è una categoria che seguiamo con più attenzione della media ed è anche quella con i tassi di crescita maggiori, attorno al 19% annuo. Indubbiamente il focus del cliente si sta spostando rapidamente sulle uve senza semi, ma soprattutto si sta diversificando e destagionalizzando. Il punto irrinunciabile rimane quello della difesa della qualità del prodotto a qualsiasi costo, l’uva da tavola deve essere buona”.

Un principio, quello della qualità e della destagionalizzazione, che sembra essere comune un po’ a tutto il mondo della gdo: “In un contesto come il nostro –fa notare Anna Maria Medici, responsabile acquisti di MultiCedi– vicino agli areali produttivi principali storicamente l’elemento premiante è sempre stato quello estetico. Ciononostante anche al Centro-Sud in tempi recenti le varietà senza semi hanno iniziato a guadagnare terreno a discapito dell’uva tradizionale venduta sfusa. Indubbiamente il territorio diventa argomento per la vendita quando si trova vicino al luogo di vendita, per questa ragione è necessario migliorare la comunicazione del territorio”.

L’identikit dell’acquirente

Sostanzialmente l’acquirente di uva seedless è una donna relativamente giovane, residente nelle regioni benestanti del Nord e che acquista prevalentemente uva bianca nella gdo, senza fare troppe distinzioni fra confezionato e sfuso, mentre il compratore medio di uve tradizionali con semi è un uomo che ha già passato la mezz’età, residente perlopiù al Centro-Sud e che acquista uva sia bianca che nera senza un particolare canale preferenziale di approvvigionamento.

Dove migliorare? Assortimento e comunicazione

Un altro dato interessante dello studio SGMarketing segnala che il 20% dei consumatori non riesce, a dispetto della legislazione che impone la tracciabilità e la trasparenza in materia, a intercettare nessuna comunicazione riguardo la provenienza del prodotto. La maggior parte di essi desidererebbe trovare questo genere di informazioni in etichetta sulla confezione oppure negli espositori esterni, ciononostante anche quando queste sono presenti nella modalità richiesta, molti faticano a fare proprie queste informazioni.

Il prezzo? Importante ma non in assoluto

E infine il prezzo, che come detto rimane un fattore principe nella scelta. Cionondimeno la qualità del prodotto, in alcune zone dell’Italia, può anche fare accettare prezzi leggermente sopra la media se vengono percepiti come equi rispetto al livello qualitativo. Restano alcuni punti deboli della catena distributiva, come ad esempio l’assortimento, non sempre curato alla stessa maniera in tutti i canali e in tutte le insegne della grande distribuzione, e la comunicazione: “L’indagine –conclude Garipoli– pone l’accento su alcuni percorsi da attivare per qualificare al meglio l’assortimento, sono tante le aree di miglioramento a partire dalla comunicazione delle modalità produttive e dalla tracciabilità fino al tema del presidio alla sostenibilità, passando per la descrizione delle caratteristiche di prodotto e alle sue modalità di gestione a casa. Nessun dubbio invece sulla necessità di far veicolare tali elementi a partire dal punto di vendita, in reparto e sulle confezioni attraverso messaggi semplici e al contempo utili ad accompagnare un acquisto sempre più consapevole. Tutti elementi che fanno dell’uva da tavola una tra le categorie ortofrutticole più virtuose nel percepito consumer, fatto che se da un lato è meritorio e di conforto alle scelte di chi produce e distribuisce dall’altro, diventa monito e responsabilità nel rispetto di quanto fatto e di quanto, e non è poco, è ancora da fare”.

E se coloro che sostengono di avere intenzione, per il futuro, di incrementare il proprio consumo di uva da tavola sono l’8% in più di coloro che stanno meditando di ridurre questo consumo, allora l’uva da tavola è veramente il prodotto ortofrutticolo esemplificativo di questi nostri tempi.

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