Il mercato delle pere è contrassegnato da una netta contrazione dell’offerta a livello europeo. L’Italia soffre più di altri Paesi produttori e, se i prezzi sono buoni ma non consentiranno di compensare l’offerta dimezzata, l’export dovrà comunque trovare un rilancio nell’apertura di nuovi mercati. Nuovi mercati che oggi significano soprattutto Cina. Di questo – ma anche di percepito del consumatore e proprietà salutistiche del prodotto – si è parlato venerdì scorso al convegno del World Pear Forum dal titolo “Le prospettive commerciali e le nuove opportunità di mercato”.
Laura Stocchi del Cso Italy ha ribadito il crollo produttivo rispetto al 2018 – attorno al 50% di prodotto in meno – a livello nazionale come anche la minore offerta europea: “Vista l’offerta dimezzata, anche a causa di cimice asiatica e maculatura bruna, è più che mai necessario cercare di valorizzare al massimo il prodotto, in modo da ottenere remunerazione lungo tutta la filiera. Molti frutti, infatti, non erano adatti né al mercato fresco, né all’industria”. Basti dire che l’offerta di Abate e di Conference è crollata rispettivamente del 57 e del 58%.
A seguire i rappresentanti della produzione europea hanno commentato il mercato attuale. Come ha ricordato Luca Granata, dg di Opera, questa è un’annata straordinaria per record negativo di produzione. “La qualità del prodotto è buona, non ci sono problemi di conservazione. Il destoccaggio è molto più basso in volumi, ma la domanda ha rallentato meno di quanto abbia fatto l’offerta (siamo al 60% in meno). Non ci sono alternative, dobbiamo garantire il servizio migliore possibile, il più a lungo possibile ai nostri migliori clienti”. Un’annata che finirà in anticipo, visto che al primo novembre la situazione (148mila t) era simile a quella di febbraio 2019. “Per il resto – ha osservato Granata – nessuno ha la sfera di cristallo. E’ ragionevole attendersi un’annata buona per il 2020, ma le difficoltà fitosanitarie restano. Una cosa è certa, l’aumento dei prezzi non è sufficiente a recuperare il 60% in meno di prodotto”.
In più, il nostro primo cliente, la Germania, gioca al ribasso. Come ha spiegato Wim Rodenburg, di GroentenFruit Huis, “i prezzi risentono anche delle promozioni sugli scaffali tedeschi, con le pere che hanno raggiunto i 90 centesimi il chilo. Come se non bastasse, mele e kiwi quest’anno sono più competitivi, anche per i maggiori volumi disponibili”.
Negli altri paesi produttori, la Francia – che da priorità al prodotto locale, se non regionale – produce solo la metà di quanto consuma; mancano all’appello 100mila t di prodotto, mentre per il Belgio, malgrado la contrazione dell’offerta, questo è il quinto raccolto più importante di sempre e le prospettive – ha detto Marc Evard di BFV, Belgian Fruit Valley – appaiono positive, anche se dobbiamo fare i conti con l’assenza di alcuni mercati importanti”.
A livello europeo, dunque, sono confermate le stime del Cso Italy: poco meno di 1,9 milioni di t, il 20% in meno, determinato dal calo in Olanda (-6%), in Belgio (-10%), in Francia (-14%) e in Portogallo (-6%). Solo la Spagna segna un 4% in più anche se “guastato” da difficoltà iniziali di stoccaggio.
La percezione del consumatore e le possibili mosse
Merita attenzione la ricerca condotta dall’Università di Torino in collaborazione con Cso Italy riguardo la percezione del consumatore rispetto al prodotto pera e le strategie da individuare per sostenerne il consumo. La ricerca per ora ha coinvolto solo due regioni (Emilia Romagna e Veneto) e 650 consumatori, ma saranno presto verificate altre determinanti di scelta sui responsabili d’acquisto. “Il consumatore abituale – ha detto Stefano Massaglia, dell’Università di Torino – ha un buon livello di consapevolezza della pera italiana ma ci sono ancora margini di crescita (ad esempio per la conoscenza dell’Igp e del marchio, ndr). Al contrario, il consumatore occasionale ha un basso livello di conoscenza del frutto e una comunicazione mirata potrebbe forse spingerlo ad aumentare la frequenza di consumo”. Altri spunti interessanti: il 25% dei consumatori complessivi ignora il primato del comparto produttivo italiano; il 62% dei consumatori abituali e il 63% degli occasionali prediligono la pezzatura media; il 92% di chi acquista regolarmente le pere considera un valore aggiounto la provenienza italiana.
Un’altra ricerca, a cura di Maria Gabriella Marchetti dell’Università di Ferrara e sostenuta dall’Oi Pera, ha indagato gli aspetti salutistici del prodotto. Ricca di minerali, fibre e povera di grassi, la pera contiene antiossidanti esogeni quali le Vitamine C ed E, i carotenoidi e i polifenoli. Proprio l’azione antiossidante e antinfiammatoria dei polifenoli rende le pere integratore naturale polivitaminico.
Nuovi mercati
Fondamentale, però, sarà l’apertura di nuovi mercati e “la possibilità di poter avere sempre maggiori sbocchi commerciali per le pere –ha precisato Simona Rubbi di Cso Italy– Ed è proprio questi giorni la comunicazione ufficiale da parte delle autorità cinesi che verranno a fare la visita ispettiva durante la raccolta, un tassello molto importante verso la chiusura del protocollo”.
Nell’ultima tavola rotonda, sotto i riflettori è finito l’export delle pere, in particolare in Cina, con i contributi di Marco Salvi, presidente Fruitimprese; Piergiorgio Lenzarini; presidente del Consorzio di Tutela della Pera dell’Emila Romagna Igp; Ilenio Bastoni; direttore generale di Apofruit italia e Luigi Mazzoni, amministratore delegato Vivai Mazzoni.
Ilenio Bastoni ha ricordato come il mercato della pera biologica stia rispondendo con numeri importanti e il comparto della trasformazione industriale abbia aiutato a tenere elevato il valore alla produzione. Importante, poi, l’innovazione varietale soprattutto nell’ottica delle varietà club.
Per Marco Salvi, il rischio è un appiattimento al ribasso del prodotto pera. “La novità – ha concluso Salvi – è che le aziende hanno deciso insieme dove mandare i prodotti e hanno dato mandato preciso alle istituzioni e al Mipaaft, che oggi non hanno più alibi. Priorità al mercato cinese, che vedo strategico come lo è per il kiwi, ma anche il Messico un paese latino con 110 milioni di abitanti. E, poi, attenzione a cogliere come Unione europea certe occasioni che possono farci entrare in determinati mercati, pensiamo ad esempio ai rapporti difficili tra Messico e Stati Uniti”.