La chiusura (nel 2024) del Noma di Copenaghen, per quattro volte il miglior ristorante del mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants, annunciata dallo chef e co-owner René Redzepi, non sposta di una virgola i trend dell’alta cucina tra le giovani generazioni, dove la sperimentazione, basata sul binomio vegetali e fermentazioni, domina.
Una fucina di idee in questa direzione arriva da Mirko Gatti, classe 1981, chef del ristorante Radici, a San Fermo della Battaglia, in provincia di Como, aiutato in sala dalla compagna Sara. Diciassette anni a Londra in importanti ristoranti, stage al Noma. Salumi plant-based, bevande fermentate di vegetali che sembrano spumanti alcol free sono solo alcune delle idee più innovative, che potrebbero interessare anche l’industria e meriterebbero la Stella Verde Michelin.
Il plant-based è uno dei trend più forti: nel rapporto Coop 2022 i salumi vegetali sono tra le categorie nel largo consumo più in crescita, +108%.
Io lavoro molto con i salumi vegetali: li preparo direttamente. Da metà giugno fino a settembre il menu è al 60% incentrato sui vegetali, con carni vegetali. Per esempio la bresaola di barbabietola, frutto di ricerca e sviluppo, che ha dato i risultati migliori. Ricorda la consistenza di un insaccato, anche in termini estetici e di sapore, sembra una carne secca. Un ruolo fondamentale ce l’ha la fermentazione avviata dal koji. Marina in sale e spezie, poi si inoculano queste spore, che danno aroma; viene poi affumicata sulla griglia e fatta stagionare in cantina, dai 2 ai 4 mesi. Ho preparato anche il chorizo di prugne e una scorzonera maturata, affettata come un salume.
Il periodo in cui produciamo di più questi salumi vegetali è dalla primavera in avanti. In estate faccio anche la carne di anguria: la consistenza ed estetica è simile. È un processo di due giorni di congelamento e scongelamento, poi viene affumicata, così perde i liquidi in eccesso; rimane la tela dell’anguria e non è più tesa ma sfibrata e raggiunge la consistenza di una bistecca che viene cotta sulla griglia.
Un’altra innovazione proposta al ristorante è il juice paring.
Anche i clienti appassionati di vini preferiscono il juice pairing: è qualcosa di inedito. Facciamo una trentina di drink, tra kombuche, infusi fermentati (con lo scoby colture di batteri e lieviti, ndr) a base di erbe aromatiche che raccogliamo e succhi, come aghi di pino mugo e mela verde. Li cambiamo a seconda della stagione e della reperibilità. Per esempio kombucha di betulla, fieno, funghi, alghe, plancton, sambuco. Vanno molto acetosella, mele e pino; anche rosa, la rosa gallica, antica, uso solo quella che trovo in un roseto selvatico. Abbiamo raccolta una sessantina di chili di mela acidonia e con quella abbiamo fatto un succo che abbiamo fermentato. Queste bevande ce le hanno chieste più volte a livello industriale, ma significherebbe pastorizzarle.
Il nome Radici rimanda al legame con la natura e il foraging rimane un elemento fondamentale.
Siamo totalmente autonomi nella raccolta di materie selvatiche mediante il lavoro di foraging che a breve ricomincerà a pieno regime. La conoscenza e la passione per il selvatico affinata in tanti anni ci porta oggi a utilizzare materie selvatiche non comuni. A breve inizieremo la raccolta della linfa di betulla per esempio, oppure l’olmaria, o ancora le samare dell’olmo, le pigne e gli aghi dei tanti pini diversi e ancora l’aronia.
Siamo fortunati a essere circondati da boschi e da tanto verde che diventa ogni giorni la nostra più grande dispensa. Da qui la conservazione delle materie prime selvatiche raccolte, che ci permette di poterle utilizzare nei periodi in cui non è possibile fare foraging. Le tecniche di conservazione cosi come di trasformazione e fermentazione da Radici sono molteplici, dalle più basiche, come aceti o lacto-fermentazioni, a quelle più complesse come i garum, i misi, shoyu, paste amminoacide. In questi anni le nostre tecniche di fermentazione ci hanno portati a diventare un punto di riferimento. Per questo siamo felici di condividere la nostra conoscenza con i tanti colleghi che vengono a trovarci alle nostre masterclass e workshop di fermentazione così come alle nostre experience di foraging.
Diversi chef si fanno promotori di iniziative per tutelare varietà a rischio scomparsa, come Enrico Bartolini per la melanzana piccola genovese. Radici cosa difende?
Sono più che altro varietà che stanno scomparendo. Ho passione per i tuberi, rape, ramolaccio, ma fin da quando ero a Londra sono affascinato da un varietà di barbabietola allungata, la cultivar mammouth. È quasi introvabile: si acquista in Alto Adige da qualche contadino che produce ortofrutta biodinamica, in Val d’Ultimo, sopra Merano. In carta abbiamo carote di varietà precedenti a quelle con colorazione arancione. Utilizzo una piccola mela cotogna giapponese, l’acidonia, che cresce nelle campagne. La adoro perché ha note di agrume e l’abbiamo sostituita al limone.
Come si declina la sostenibilità?
Da sempre un filone essenziale della nostra filosofia è la sostenibilità, senza quella non esisterebbe Radici. Per noi non è assolutamente l’ennesima moda del momento, ma uno stile di vita che fin da subito abbiamo voluto portare all’interno del progetto. Nel corso del tempo siamo arrivati ad abbattere gli sprechi attraverso il pensiero di cucina circolare, dove gli ingredienti vengono lavorati al 100% e dove gli scarti diventano la base per preparazioni secondarie attraverso tecniche di fermentazione (shoyu, garum, misi, aceti, kombuche eccetera).
Il menu ha piatti sorprendenti: tagliatelle di rapa fermentate, raviolo di verza, insalatina di preservati, materie prime raccolte con il foraging. Ma dopo il poke e il sushi, c’è una preparazione che potrebbe diventare di successo?
Il kimchi. Io lo preparo in diversi piatti.