Una politica di pianificazione e progettazione della rete idrica minore, con canalizzazioni e piccoli invasi; la gestione sostenibile delle foreste come strategia di consolidamento del suolo e di governo delle acque, che ne contrasti il dissennato utilizzo.
Da qualche mese anche il mondo dei dottori agronomi e forestali è parte della Struttura tecnica nazionale (Stn), al servizio della Protezione Civile. Sabrina Diamanti, presidente del Consiglio degli Ordini dei dottori agronomi e forestali (Conaf), spiega dal suo punto di vista cosa si dovrebbe fare per mitigare i danni provocati dal cambiamento climatico.
Qual è il contributo che gli agronomi possono dare per contrastare gli effetti del cambiamento climatico?
La Struttura tecnica nazionale è giovane, è nata nel 2020-21 a supporto della Protezione Civile. Come dottori agronomi e dottori forestali siamo stati inseriti successivamente alla sua costituzione, che inizialmente ha coinvolto le sole categorie professionali facenti parte del Nucleo tecnico nazionale per l’emergenza post sismica.
I rischi di competenza della Protezione civile, però, sono molteplici, e il nostro contributo è fondamentale per affrontarne alcuni in cui le altre professioni non hanno competenze, vedasi gli incendi boschivi in cui siamo gli unici professionisti in grado di capire come evolve un incendio considerando le specie arboree, le condizioni microclimatiche e l’orografia del territorio. Anche nel contesto di dissesto idrogeologico è importante il nostro coinvolgimento sia in fase preventiva che in fase di emergenza e ripristino. Nel primo caso, penso alla pianificazione del territorio, soprattutto per gli aspetti rurali. Nel secondo, invece, possiamo fornire un importante supporto tecnico.
Per l’Emila-Romagna è possibile conoscere qual è l’entità del danno? Coldiretti ha stimato almeno 1,5 miliardi.
Sarà difficile fare una stima realistica in breve tempo: noi siamo a disposizione. La cosa particolare è legata all’orografia: alcuni territori sono sotto il livello del mare, il terreno è di argilla e limo e così tante zone sono ancora sommerse: questa combinazione ha danneggiato le coltivazioni arboree. Ora, avviandovi verso l’estate, si aggiunge l’aumento delle temperature che stanno “lessando” le piante, il che, probabilmente, obbligherà all’espianto in molte aree a coltivazione arborea. Danni che si sommano a danni, perché per ripiantare un frutteto e rimetterlo in attività ci vogliono almeno 4-5 anni usando le più moderne tecnologie e le varietà che entrano in produzione prima.
Si parla di invasi, casse di espansione, che altro tipo di prevenzione si può fare in questi casi?
Nel mondo agricolo e rurale abbiamo perso tante attività basiche tradizionali, a cominciare dalle sistemazioni idraulico-agrarie che salvaguardavano il territorio. Si è costruito dove non si doveva, lo vediamo ovunque. Quando si decide di far cambiare corso all’acqua, incanalandola, modificando l’alveo, poi in situazioni avverse l’acqua riprende il suo corso originario. Bisogna tornare ad avere più cura del territorio.
Quali strumenti di innovazione ci consentiranno di adattarci ai cambiamenti climatici?
Contro siccità e patogeni occorre, per esempio, agire su colture più adatte a resistere agli effetti dei cambiamenti climatici. La sostituzione delle specie vegetali è un po’ lunga, perché va accompagna con un cambiamento culturale, ma in alcune aree del Sud si è già fatto, inserendo colture di tipo tropicale.
Un altro ambito che tanto può fare è l’agricoltura 4.0 e la speranza arriva anche dalla genetica: recentemente è stato approvato un emendamento sulle Tea, anche se non sappiamo ancora quando la Commissione Europea proporrà un nuovo regolamento. Infine molte aziende sono già vocate all’agricoltura di precisione, di cui microirrigazione e fertirrigazione rappresentano l’esempio applicativo immediato.
Che dire sulla riforestazione, nuove piantumazioni? Perché non pensare, in chiave preventiva, a colture ad hoc, resistenti?
Persino le buone intenzioni, troppo spesso, non sono accompagnate da un confronto con i professionisti competenti. Si parla con leggerezza di piantare alberi senza conoscere il contesto, il terreno in cui saranno messi, senza prevedere un sistema di irrigazione, che è fondamentale soprattutto nei primi anni di vita delle piante. Oltre all’aspetto tecnico, poi, ci sono gli ostacoli burocratici: come Conaf abbiamo chiesto una rivisitazione di alcuni finanziamenti e uno snellimento procedurale, per rendere i contributi più accessibili, anziché sommergere il potenziale beneficiario di atti burocratici.
Gli effetti di questo appesantimento si vedono nell’incapacità di utilizzare i fondi che l’Europa stanzia per il comparto rurale, quando invece ci sarebbe tanto da fare.
Alla fine, qual è la chiave?
Il coinvolgimento dei professionisti in questo processo è necessario, così come la corretta gestione del territorio. Senza addossare solo alle aziende questa grande responsabilità, si deve finalmente comprendere che il territorio è uno e che gli effetti delle azioni attuate in ambito urbano, rurale e forestale si intersecano.
Si deve lavorare anche sulla premialità per chi fa sistemazione del territorio, prevedendo finanziamenti che supportino le aziende nella gestione e cura. È un vantaggio per tutti perché se l’acqua arriva copiosa, ma segue un percorso corretto, si possono limitare i danni.
La rigenerazione urbana, infine, rappresenta sicuramente una svolta importante, ma per avere un risultato è necessario coinvolgere tutte le professioni, compresa la nostra: noi siamo abituati a collaborare, sappiamo che un progetto complesso deve essere svolto da un team, ma questa sinergia deve essere compresa e incentivata anche dalle amministrazioni nella scrittura dei bandi pubblici.