Una discussione aperta sul rilancio dell’export italiano. È stato questo il senso del primo incontro a firma Fruit Innovation (la fiera milanese dell’ortofrutta che debutterà dal 20 al 22 maggio prossimi) che si è tenuto oggi presso il centro Congressi Stelline di Milano.
I numeri. I dati Istat, elaborati per l’occasione da Fruitimprese, confermano la costante perdita di terreno sui mercati esteri delle aziende ortofrutticole italiane. Tra il 2013 e il 2014 il fatturato realizzato oltre confine ha subito una flessione dell’1,2% passando da 4,15 a 4,09 miliardi di euro a fronte di un incremento dei volumi esportati del 4,4%. Anche se sul mercato interno si registrano segnali più favorevoli (con un incremento di fatturato del 3% a fronte di un calo delle quantità vendute dell’1,9%) il quadro è quello di una situazione di mercato appesantita e caratterizzata anche da un eccesso di offerta che preme al ribasso sui prezzi e che dovrebbe spingere le aziende italiane a guardare nuovi mercati.
Il modello “mela”. In questo senso è emblematico il caso “mela” del Trentino Alto Adige, che quest’anno, anche a causa dell’embargo russo, ha accusato particolarmente i colpi di una crisi economica con ribassi sui prezzi a livelli insostenibili, determinati dall’eccesso di offerta.
«Sui mercati tradizionali – ha spiegato Gerhard Dichgans, direttore generale del consorzio Vog – come ad esempio la Germania o il Regno Unito, stiamo perdendo continuamente terreno da parecchi anni. Per questo stiamo cercando nuovi orizzonti. Dal 2010 siamo in Est-Europa, Scandinavia e Russia. Ma il cambiamento dei mercati post embargo ci ha portato a battere nuove strade».
Nuovi mercati. «Nel 2014 – continua Dichgans – abbiamo iniziato con Spagna e Maghreb ma è nostra intenzione sviluppare il mercato dell’India che oggi importa 30mila tonnellate l’anno che sono destinate a crescere. Molto interessante per noi anche il Sud-est asiatico e in particolare Thailandia, Taiwan, Vietnam, Indonesia e Bangladesh che sono attualmente prerogativa di Francia e Stati Uniti. Per arrivare in quei paesi tuttavia abbiamo bisogno del supporto istituzionale soprattutto per la rimozione delle barriere all’export applicate».
Le barriere. Ed è proprio le eccessive barriere fitosanitarie che forse faranno naufragare il test di export in Usa che le mele e le pere italiane hanno fatto negli scorsi mesi e che ha rivelato costi eccessivi legati al rispetto delle barriere fitosanitarie imposte daklla politica statunitense. Troppo onerose per i nostri produttori. «Anche qui – continua Dichgans – si tratta di decidere se il gioco valga la candela».
L’approccio con i nuovi mercati non può prescindere dalla conoscenza delle preferenze dei consumatori. In Asia ad esempio non sono apprezzati i frutti acidi. «Questo perché – ha spiegato Angelo Benedetti, presidente di Unitec – la frutta è considerata come un dono sicché è apprezzata non solo quando è qualitativamente buona ma anche quando è confezionata in packaging efficienti e adatti alla presentazione».
Gli scenari. Nell’analisi di Claudio Scalise, managing partner di SGMarketing, emergono tre possibili scenari di mercati internazionali diversi a seconda che si tratti di mercati consolidati (Europa occidentale, Usa, Canada, Giappone e Australia); mercati in via di sviluppo (Europa centro-orientale, l’America Latina, Russia, Paesi del Golfo, Cile, Corea e Taiwan) e nuove frontiere come l’Africa, l’India, la Turchia, il Medioriente e altri paesi asiatici meno battuti.
«Nei Paesi in via di sviluppo – ha spiegato Scalise – dove si hanno dati di crescita economica importante, l’ortofrutta è considerata un prodotto di élite che ha come riferimento la classe media, che guida la crescita, ma anche quella più alta. In questi mercati la differenza la fa la qualità quindi sono importanti parametri come la pezzatura, la colorazione e anche il pack. La situazione cambia completamente nelle nuove frontiere, come ad esempio, l’India o la Turchia. Qui l’ortofrutta è considerata un alimento vero e proprio sicché l’unico vero driver del consumo è la leva del prezzo».
Il modello “Zespri”. Sono diversi i modelli di business che un’azienda che decide di internazionalizzare può usare e tutti vanno tarati in base alle esigenze del caso specifico.
Un esempio globale è il modello di Zespri, colosso del kiwi che è pronto a dare il via alla stagione 2015 tra tre settimane. Il sistema neozelandese si basa su pochi distributori selezionati che però sono in grado di coprire il maggior numero di aree geografiche possibili. «Nella fase iniziale degli accordi – ha spiegati Bert Barmans, il general manager per l’Europa della compagnia neozelandese – garantiamo a tutti i distributori le stesse condizioni e allo stesso tempo stiamo molto attenti alla qualità del kiwi che controlliamo anche definendo le liquidazioni per i nostri produttori in base al rispetto degli standard qualitativi. Chiudono il quadro del nostro sistema i responsabili di area e di mercato, persone esperte dei territori dove Zespri opera che hanno un costante polso della situazione di quello specifico mercato di cui vengono costantemente informati i coltivatori che in base alle singole richieste, adegueranno la loro produzione in un processo di integrazione della filiera».