Il mirtillo vola in Italia con vendite a doppia cifra, ma i consumi dei piccoli frutti sono ancora lontani da quelli del Regno Unito dove pure si consuma poca frutta. Il segreto? Una strategia di valorizzazione che va dagli investimenti nella ricerca (i polifenoli sono oggi il fattore con più appeal nell’ortofrutta), con cospicui finanziamenti da parte dell’associazione produttori, alla valorizzazione nei punti di vendita delle insegne della grande distribuzione, che li propone in formati innovativi. L’Italia sta imparando qualcosa di questa lezione, come racconta Thomas Drahorad, presidente di NCX Drahorad, società di servizi commerciali attiva nel mercato dei piccoli frutti principalmente come servizi di import/export. La sua società cura poi un Osservatorio sui piccoli frutti per il mondo retail.
Cosa è emerso dall’Italian Berry Day, qual è lo stato di salute dei piccoli frutti?
Il consumo e produzione italiani sono in aumento: non si riesce a stare al passo con la domanda. C’è discreto approvvigionamento dall’estero e al consumatore italiano non dà fastidio l’importazione da Cile, Perù e Marocco, sapendo che c’è una certa stagionalità. La potenzialità è grande, anche perché i consumi in Italia sono circa un un ottavo di quelli in Uk o Usa, che non sono grandi mangiatori di frutta, ma lì i consumi sono esplosi.
Cosa manca nella comunicazione per aumentare i consumi?
La gdo sta ancora andando con il freno a mano tirato: non ha ancora preso fiducia nella categoria. Nel Regno Unito la categoria dei berry, incluse le fragole, è quella che vende di più nel reparto ortofrutta: oltre un miliardo di euro di fatturato solo per mirtilli, lamponi e more; in Italia siamo a 120 milioni. I meccanismi per fare decollare questo mercato ci sono tutti: i fornitori sono prontissimi da un giorno all’altro a raddoppiare le consegne. Per tanti anni è stata una categoria rischiosa, a causa dei prezzi alti e deperibilità del prodotto. Oggi la gdo si sta rendendo conto che la categoria funziona: per i mirtilli si sta abbandonando il formato del 125 grammi per il 200/250 e si sta prendendo fiducia con la proposta di size più grandi, anche 300 e 500. Aumentando le vendite, aumenta la rotazione e diminuiscono gli scarti. Altro segnale è la segmentazione: oggi si trova il bio, il prodotto premium, residuo zero. Sulle varietà ci vorranno anni: il lavoro è sotterraneo sulle linee premium, ma riuscire a portare il nome alla consapevolezza del consumatore è ancora un obiettivo lontano.
Oggi si cerca l’effetto crunch per l’ortofrutta: quali altre caratteristiche sono ricercate, tra calibro e grado brix?
Non c’è ancora una risposta, nessuno ha fatto una ricerca in questa direzione. Il crunch è un trend importante per l’ortofrutta; all’italiano piace poi l’equilibrio acido e dolce, a differenza di Inghilterra e Usa. Ci si sta muovendo su calibri molto grandi ma i breeder non lo stanno considerano come fattore primario.
Cosa dovrebbe fare la gdo per spingere questo mercato?
Sei o sette insegne hanno la loro Mdd sui piccoli frutti ed è un’ottima cosa: aiuta il consumatore ad avere più familiarità. Dovrebbero poi ascoltare di più i fornitori su prezzi, formati, stagionalità. Unes ha avuto recentemente vendite quasi raddoppiate posizionando i piccoli frutti all’ingresso dei punti di vendita: il 70% dei mirtilli in Italia sono venduti in posizioni laterali.
Che opportunità ci sono per il bio e per il residuo zero?
La segmentazione funziona anche sui mirtilli: il residuo zero ha avuto un riscontro molto buono. La chiave di successo nei Paesi dove i mirtilli sono più consumati è la moltiplicazione della chiave d’acquisto: quindi formati snack, barattolo per vari momenti della giornata, colazione, pranzo, merenda. Poi c’è il discorso salutistico dove in Italia non è stata fatto quasi nulla. Negli Usa l’associazione di categoria del mirtillo finanza ricerche scientifiche per un milione di dollari.
C’è una produzione che sta andando verso Sud.
Sì, specialmente mirtilli e lamponi crescono nel Sud Italia, anche se gli investimenti sono importanti. Fare un ettaro di serra tecnologica costa mediamente 100 mila euro.
Che opportunità ci sono per il fuori suolo?
Il mirtillo ha bisogno di terreni ad alta acidità che in Italia si trova in pochissime zone, come il Piemonte. In Sicilia, Trentino è coltivato soprattutto fuori suolo, in substrati neutri. Non ancora però in vertical farming, credo per una questione di costi. Il mirtillo fa un raccolto all’anno e non si riesce ad ammortizzare
Vola il mirtillo, con crescite a doppia cifra, ma è in difficoltà il ribes: perché?
Il ribes è un prodotto che va prettamente nelle pasticcerie che hanno sofferto tantissimo il Covid.
Il made in Italy quanto è importante?
Con un differenziale equo i buyer preferiscono quello italiano: ce ne è molto anche in questo periodo quando si potrebbe fare importazione. Ovvio che il prodotto italiano deve essere competitivo: ci sono stati dei momenti in cui il mirtillo italiano costava il doppio di quello spagnolo.
Cosa si sta facendo per migliorare la shelf-life?
Stanno nascendo imballaggi attivi, per esempio quello di Ilip. Lampone e mora hanno shelf-life breve, in media di 5 giorni. Il lampone va raccolto quotidianamente e ogni giorno si deve avere il cliente. Dare un po’ di flessibilità in più è importante. I mirtilli viaggiano in tutto il mondo e possono arrivare perfetti dopo 30 giorni di trasporto. La plastica è ancora la soluzione migliore, alcuni supermercati stanno passando alla carta ma sono al momento degli esperimenti su alcune linee, così accade anche all’estero.