“Fondatore e visionario”, scrive sul biglietto da visita. Gaetano Besana ha creato l’Oasi di Galbusera Bianca, un’azienda agricola certificata biologica e biodinamica, immersa nel Parco di Montevecchia e della Valle del Curone, in Alta Brianza. Prima oasi privata in Italia a essere affiliata al sistema oasi del Wwf. È specializzata nella coltivazione di antiche varietà di frutta e ortaggi con cui rifornisce l’agriturismo di charme con osteria. Varietà di importanza culturale e storica, come quelle raffigurate nelle tele del Caravaggio o citate nel Viaggio in Italia da Goethe. “Le possibilità di sviluppo sono gigantesche, come dimostra la collaborazione avviata con l’Università di Milano: sarebbe importante trovare qualche partner che voglia investire nel frutteto”.
Che cos’è l’Oasi di Galbusera Bianca?
È un vecchio borgo del Trecento composto da edifici che ho acquistato e ristrutturato alla fine degli 90, aprendo un’azienda agricola biologica e biodinamica (certificata Demeter) che coltiva antiche di varietà frutta e ortaggi.
Di quanti ettari e cosa coltiva?
È composta da venti ettari, di cui 14 agricoli e 6 boschivi. La produzione e destinata all’assorbimento del ristorante interno all’agriturismo. Produciamo centoventi antiche varietà di mele, sessanta di pere, una quarantina di prugne e fichi. Abbiamo anche diverse varietà di uva e olive. Prepariamo poi nettari e conserve per la vendita al pubblico. Ed estratti idroalcolici particolari, sia dalla frutta coltivata sia dalle erbe officinali, come melissa, menta, sambuco, spirea (una pianta erbacea locale dal sapore mieloso), acacia.
Ma il nostro interesse sono le collezioni di antiche varietà di frutta. Galbusera Bianca vuole essere un luogo che sia un punto di riferimento della biodiversità d’Italia e per l‘accoglienza delle persone che vengono a fare esperienze di natura.
Sono in atto collaborazioni con le università?
Sì, la Facoltà di Agraria dell’Università di Milano ci ha scelto come campo sperimentale per la determinazione di alcuni genoma delle antiche varietà di mele. Le possibilità di sviluppo sono gigantesche. Ma abbiamo l’attività di gestione dell’agriturismo che ci impegna. Sarebbe importante trovare qualche partner che voglia investire nel frutteto, dal punto di vista agricolo e culturale.
Come siete riusciti a costruire questo patrimonio di biodiversità?
Attraverso sistemi diversi. Il primo è il rapporto che ho avuto con Leopoldo Tommasi negli anni Duemila, un ricercatore di biodiversità che cercava un luogo dove piantare alcune varietà che ha recuperato girando per il Nord Italia. Insieme abbiamo frequentato i mercati di frutta antica: lui ha continuato a scambiare con altri queste antiche varietà e così è nato il nostro frutteto.
Quali sono le più curiose e cos’hanno di particolare?
La particolarità è anche il recupero della loro storia. Tra le varietà di fichi abbiamo il brogiotto, citato da Plinio il Vecchio nella Historia Naturalis. L’avevano importato i Romani da Cartagine durante le guerre puniche. Alcune delle nostre mele sono rappresentate nelle raffigurazioni delle nature morte del Caravaggio e del Bembo nel Rinascimento.
Una cui sono molto legato, perché speciale, è la mela rosa. La polpa contigua alla buccia è rosa-violetto per poi diventare bianco-verdognolo. La buccia è rosso-violacea. Le foglie sono con sfumature violacee e il fiore è rosa. Interessante è un fico originario della Liguria e sud della Francia, in Italia si chiama zebrato di Sori e in Francia panaché.
Cosa c’è al momento in produzione?
Come frutta abbiamo le prugne che arriveranno a raccolta verso il 10 luglio. Abbiano già iniziato una piccola raccolta di mele: facciamo 5 o 6 trattenenti all’anno di tipo biologico: utilizziamo, per esempio, macerati di ortica, che non hanno alcun effetto inquinante. La produzione varia molto dalla stagione: l’anno migliore abbiamo fatto 9 tonnellate di mele. Quest’anno sarà altra annata record, tempo permettendo.
L’Oasi ha anche orti didattici.
Sì le scuole steineriane vengono ogni settimana a imparare a coltivare la terra. Il nostro motto è “La terra nutre l’uomo che cura la terra”. Nella parola nutrimento c’è il valore storico-culturale della biodiversità.
Non abbiamo solo il lato organolettico: abbiamo bisogno di nutrire anche il cuore con la storia di queste antiche varietà. Oggi la ricerca di significati e lo storytelling amplificano il valore commerciale.