La scatola si sta evolvendo: da semplice contenitore a cuore pulsante di informazioni. La stampa digitale rende univoco il packaging e il suo contenuto nelle varie fasi della catena produttiva e logistica; porta con sé le storie che vuole raccontare: chi produce a chi consuma. “A mio avviso il valore dell’imballaggio di domani è nel servizio, che in momenti e a interlocutori diversi deve fornire informazioni differenti, siano esse logistiche, organolettiche, di brand: la chiave comune è che siano efficaci e personalizzate -racconta Giuseppe Ghelfi, titolare di Ghelfi Ondulati Spa, sede a Buglio in Monte, Valtellina, quasi 70 anni di storia-. Un codice univoco può dare informazioni diverse rispetto al consumatore che ha davanti, velocità alla logistica, tantissimi dati alla filiera, che ci sono ma non vengono oggi sfruttati e potrebbero servire per automigliorarsi e sprecare meno. Tutto questo passa dalla tecnologia, ma soprattutto dalla condivisione dei dati, dal mettersi in gioco”.
Che numeri fa Ghelfi Ondulati?
Ghelfi ondulati nasce nel 1952, in Valtellina. È un’azienda familiare di montagna, con profonde radici nel territorio: i 160 dipendenti sviluppano un fatturato di circa 96 milioni di euro, con 75 milioni di metri quadri di cartone prodotto. L’attaccamento alle nostre radici e al nostro territorio arrivano da lontano. Già negli anni 50 nonno Giuseppe pensava a una cooperativa che unisse persone e a come essere sostenibili: oggi all’interno del nostro plant c’è la cooperativa Il Sentiero, le nostre carte sono certificate Fsc o Chain of custody al 98,7%. E con orgoglio, da due anni, siamo Gold Medal Ecovadis, piattaforma che misura le responsabilità sociali di impresa.
Quali sono i comparti più sensibili che servite?
Il core business è sicuramente il mercato dell’ortofrutta e dell’industria legata al food, dalle arance siciliane alle mele trentine: siamo presenti in tutta Italia con 52 centri di montaggio. Serviamo i mercati di Francia, Spagna, Tunisia e vendiamo il nostro brevetto ESA no CRUSH negli Stati Uniti, New Zeland, Israele e Cile. La nostra mission è fare qualità e innovazione: abbiamo brevetti che riescono a minimizzare il dispendio di cartone nell’imballaggio, per questo siamo competitivi su mercati molto lontani.
Da quattro anni con la stampante HP T1100S, che per primi al mondo abbiamo installato, riusciamo a portare valore nell’industria del packaging primario base carta. Stampiamo su carta da 80 a 400 grammi, con inchiostri base acqua su bobine fino a 2,80 metri. In collaborazione con aziende leader nel settore carta, stampiamo dalla confezione in cartoncino della pasta al sacchetto di carta, alla carta da accoppiare con film che diventa packaging flessibile base carta.
Chi sta spingendo di più sull’innovazione?
Se parliamo di innovazione, l’industria italiana del food è generalmente molto avanti. Per Melinda già tre anni fa abbiamo realizzato più di 1.500.000 scatole in digitale con 90.000 dediche personalizzate a favore delle popolazioni terremotate del Centro Italia (per ogni dedica Melinda ha donato un euro). Quest’anno, in lockdown, per far giocare i più piccoli, più di un milione di scatole diverse con puzzle, labirinti, giochi da ritagliare.
Nell’industria dei vini ho visto ottimi esempi di segmentazione e di penetrazione nuovi mercati attraverso le risorse offerte dal digitale: poter offrire, per esempio, al proprio importatore americano la localizzazione della scatola con le 32 squadre dell’NFL. Utilizzare la grafica per far diventare la singola scatola parte di una composizione più grande; o poter legare l’esatto contenuto della scatola al codice univoco sopra di essa.
Il Covid ha spostato le attenzioni dalla sostenibilità alla sicurezza?
Le problematiche in corso credo ci abbiano insegnato a usare tempo e strumenti in modo diverso, a utilizzare diversamente risorse umane e dati. A mio avviso il cambiamento di abitudini e di logiche di acquisto, che perdurerà anche post-crisi, porterà nuove opportunità di business e occasioni di sfruttare l’uso dei dati in maniera più efficace per migliorare tutta la catena del prodotto/servizio: dalla fabbrica 4.0 che lo produce con logiche nuove, alla logistica IoT che lo gestisce con meno sprechi e più sicurezza, all’utente smart che ne usufruisce appieno e in maniera più informata e sostenibile.
Qual è il plus di Ghelfi Ondulati?
Stampare i sogni dei nostri clienti: per il Consorzio della ciliegia di Vignola abbiamo prodotto scatole che tracciano singolarmente il loro contenuto indicando dove, quando e chi lo ha raccolto. Il produttore scarica sullo smartphone l’applicazione che abbiamo sviluppato, inquadrando il QR code univoco sulla scatola, carica le informazioni di raccolta in maniera univoca e sicura. Questo dà garanzia al consumatore, al consorzio, all’intera filiera. Basterebbe incrociare il dato univoco di raccolta con quello Inps per poter garantire che una determinata scatola di frutta o verdura sia stata riempita senza ricorrere al lavoro irregolare!
Quali aziende e case history può citare come esempio di utilizzo dei vostri prodotti?
Ne abbiamo molti. Nell’automotive, per esempio, ci è stato chiesto di tracciare il contenuto sempre diverso di scatole per pezzi di ricambio, senza l’ausilio di etichette che potevano essere rimosse e con garanzia di leggibilità di quanto stampato ad alta velocità (in questo caso abbiamo usato data matrix variabile). Ci viene chiesto tutti i giorni di raccontare innovazioni, brevetti, qualità, storie di successo e fatica, di famiglie e di sogni di cui è piena la piccola e media impresa italiana e che sono la sua forza. Oggi abbiamo i mezzi e la tecnologia per farlo. La domanda è: caro cliente, cosa sogni di trasmettere o di tracciare? Facciamolo.
Avete lanciato sul mercato la prima vaschetta per la frutta completamente compostabile: su cosa oggi state investendo in termini di ricerca?
Con Spreafico, per le pere, e Melinda per le mele Renetta, abbiamo tempo fa creato (con BIOPAP) una vaschetta 100% carta interamente compostabile (anche in ciclo non industriale) che poteva essere utilizzata in forno (tradizionale e microonde) o dopo essere stata lavata come ciotola per contenere cibi. La ricerca oggi punta sui materiali, sui brevetti che minimizzano l’utilizzo di materia prima e sul riutilizzo in maniera diversa delle nostre scatole dopo il loro normale uso. Prestissimo vedrete delle novità in tal senso.
Il Covid, per questioni di sicurezza, ha spinto nella direzione di prodotti di prima gamma e confezionati: qual è la difficoltà tecnica che impedisce oggi di avere solo packaging monomateriali sostenibili per tutto il settore ortofrutta?
Allo stato dell’arte carta e cartone possono sostituire in ortofrutta il 90% della plastica monouso di cui son pieni gli scaffali e a cascata i nostri inceneritori. Il problema resta solo di costi. Troppo spesso a questo mondo, e va detto, logiche di business vengono prima di quelle di sostenibilità. In altri settori per la carta da sola ci sono ancora grossi limiti tecnologici, penso al sottovuoto o a processi industriali particolari come il riempimento asettico e le sterilizzazioni, ma in ortofrutta non si spiega assolutamente la presenza della plastica monouso. I dati ci dicono che carta e cartone hanno una filiera di recupero che vale più dell’80% in Italia (dato Conai) a differenza della plastica che ha percentuali molto più basse (43% dato Corepla), e in Italia siamo un paese virtuoso.
A livello mondiale ‘Dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con l’avvio della grande diffusione dell’utilizzo della plastica, abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, buttandone in natura circa 6,3 miliardi (e come se ogni abitante della Terra trascinasse con se circa una tonnellata di plastica). Il 79% di questa plastica è finita appunto nelle discariche e in tutti gli ambienti naturali, il 12% è stato incenerito e solo il 9% riciclato.’ (cit. World Economic Forum, Ellen Mac Arthur Foundation e Mc Kinsey Company)
La realtà aumentata potrebbe inserirsi in questi incroci di dati, per un acquisto esperienziale?
Sì, abbiamo tutti bisogno di acquistare in maniera veloce, esperienziale, sostenibile. Lo spreco alimentare in Italia vale oltre 15 miliardi di euro; quello di filiera (produzione – distribuzione) oltre 3 miliardi, ovvero il 21% del totale. La regola di Pareto, direbbe di intervenire nelle case degli italiani dove si generano quattro quinti dello spreco e a mio avviso possiamo farlo attraverso il packaging 4.0.
Nel packaging vedo la chiave per minimizzare questi sprechi. Il packaging 4.0 è phygital perché è univoco e traccia l’intera filiera, per minimizzare gli sprechi condividendo i dati, migliorando previsione degli ordini e gestione delle scorte, eliminando il caporalato digitalmente, senza bisogno della politica ma con la tecnologia dei database distribuiti. E infine coccola il consumatore, avvertendolo quando va in scadenza il prodotto, per aiutarlo a sprecare meno. Per tutto questo non ci vogliono milioni di euro di investimento: bastano un codice variabile sul packaging e una landing page, per associare significati differenti al packaging in momenti differenti.