L’uva da tavola italiana cresce grazie all’export

I dati diffusi durante la seconda edizione di Regina di Puglia con l'export che assorbe il 43% della produzione di uva da tavola italiana

Riuscirà l’uva da tavola a scavalcare le mele e a diventare il frutto più importante in Italia per valore dell’export? C’è chi dice che questo sorpasso non è solo probabile ma persino imminente. “In poco tempo l’uva è destinata a passare dagli attuali 821 milioni di euro a oltre 1,2 miliardi di euro di esportazione, perché è apprezzata all’estero e si vende bene in molti mercati” ha affermato Mario Schiano Lo Moriello di Ismea intervenendo alla seconda edizione di Regina di Puglia, la kermesse ideata per supportare i produttori aiutandoli a fare rete.

Germana Pignatelli, assessore allo Sviluppo del Territorio, il sindaco di Noicàttaro Raimondo Innamorato e l’assessore all’Agricoltura Vito Fraschini con alcune delle nuove varietà di uva da tavola presentate a Regina di Puglia 2024

Realizzata dal Comune di Noicàttaro, capofila di Terre dell’Uva – la rete locale a cui aderiscono sette Comuni del sud-est barese, area dove si concentra il 24% della produzione nazionale – questa manifestazione vuole valorizzare l’uva da tavola anche in un’ottica di marketing territoriale, ad esempio iniziando a sviluppare anche il turismo dell’uva, rivolto in particolare ai tanti stranieri che scelgono di trascorrere le vacanze in quest’area della Puglia.

Il valore dell’export per l’uva da tavola italiana

Che siano soprattutto gli stranieri gli interlocutori principali a cui puntano enti locali e aziende è logico e per vari motivi. Prima di tutto perché l’export è il canale più importante per i produttori italiani visto che assorbe il 43% della produzione di uva da tavola contro il 38% del mercato interno al consumo. Poi perché la Puglia è la regione leader in Italia per l’export di uva. Infine perché i principali acquirenti di questo prodotto (ossia Germania e Francia) sono anche i principali paesi di provenienza dei turisti che arrivano in Italia.

E così come nell’incoming turistico si registra una progressiva diversificazione delle provenienze dei flussi in entrata, così anche nel settore dell’uva da tavola si assiste a una segmentazione dei mercati di destinazione: c’è chi punta ai paesi arabi (anche con spedizioni via aerea) e chi guarda al Sudamerica o al Canada, mercati ricettivi sia per le uve seedless sia per quelle tradizionali italiane. “In Canada il mercato delle uve seedless è presidiato dalle uve californiane ma c’è una domanda interessante di uva tradizionale, soprattutto da parte della gdo che cerca un prodotto ‘diverso” e differenziante, per cui spero che le varietà classiche italiane con semi non vengano abbandonate” afferma Mario Masellis, buyer di Catania Worldwide, operatore canadese fondato nel 1929 dall’omonima famiglia italiana.

Uva senza semi sempre più richiesta

Invece, in Europa “il mercato è orientato verso l’uva seedless, soprattutto nei paesi scandinavi ma anche in Germania, il principale acquirente di uva da tavola italiana – spiega Christian Colmano, buyer dell’operatore tedesco Abc Fresh, che fornisce tra l’altro Edeka e Lidl – Ma ci sono anche paesi che restano ancora affezionati alle varietà tradizionali con semi, come Francia e Svizzera”.

Selezionare il proprio mercato estero di riferimento, quindi, diventa sempre più importante, e non solo per decidere se proporre uva con semi o senza, ma anche per individuare le varietà seedless giuste su cui puntare (in Puglia se ne coltivano già una quarantina). Ogni mercato, infatti, ha le sue preferenze. “Gli italiani amano l’uva dolce e saporita, mentre man mano che si va verso nord la si preferisce più acidula, ma sempre croccante” dice Vincenzo Demattia, agronomio di Food Agri Service. Ma non bastano le caratteristiche organolettiche per sancire il successo di una varietà, conta (e tanto) anche la produttività. Per ripagare l’investimento e vedersi riconosciuto un prezzo remunerativo, aggiunge Demattia, serve una resa di almeno 300 quintali/he, che non tutte le varietà riescono ad assicurare.

Se il prodotto è di qualità, il mercato è disposto a riconoscerlo. Nel 2023 sui mercati esteri l’uva italiana è stata pagata in media 2,14 euro/kg, ossia il 30,4% in più dell’anno precedente, complice una minor disponibilità di prodotto accompagnata da una qualità eccellente. Nel 2023 l’Italia ha esportato 384mila tonnellate di uva da tavola per un controvalore di 821 milioni di euro, stima Ismea, confermandosi il terzo esportatore mondiale dietro Perù e Olanda, con il 9,6% di quota di mercato globale. Anche alla luce del potenziale produttivo straordinario per qualità, quantità e calendario commerciale, i margini di crescita sono enormi, in particolare al di fuori della Ue dove oggi va solo l’1,5% dell’uva da tavola prodotta in Italia.

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