Il mondo dell’ortofrutta e dell’agricoltura nell’immaginario italiano resta ancora legato a riferimenti storico-culturali in stile “La malora” di Beppe Fenoglio: una vita aspra, scandita solo dalla fatica e dalla miseria. Oggi, però, siamo nel 2024 e questo settore racconta tutta un’altra storia. A riprova il fatto che in Italia circa il 30% della forza lavoro agricola è costituita da donne, con picchi che in realtà d’eccellenza come la siciliana Melanzì raggiungono l’80% del personale nei magazzini. Parliamo di giovani ragazze con un’età che va dai 19 anni e che svolgono con soddisfazione questo impiego proprio perché la sua evoluzione, grazie alla tecnologia in primis, l’ha reso decisamente accessibile.
Ciò nonostante, ci sono ancora grandi ostacoli da rimuovere per la valorizzazione reale di queste risorse. Uno su tutti: il sostegno opportuno nel momento in cui arrivano i figli, per evitare la conseguente fuoriuscita dalle aziende. Un problema che nel nostro Paese abbiamo a tutti i livelli e comparti di business, ma che in questo specifico ambito è accentuato dagli orari dei turni e dai contratti stagionali. Da qui la volontà di promuovere un importante cambiamento in tal senso, spingendo anche le istituzioni a fare di più, da parte di Nuccia Alboni, responsabile amministrazione e marketing presso Melanzì, nonché socia fondatrice dell’Associazione Nazionale Donne dell’Ortofrutta. Di questo e non solo abbiamo parlato con lei.
Ci parli di questo progetto delle donne per altre donne: da dove nasce?
L’idea parte da un’esigenza delle nostre dipendenti Melanzì. Dal Covid in poi molte giovani sono entrate nella nostra catena di lavorazione: dipendenti che si trovano bene a svolgere questo impiego, che non è più quello di un tempo, dove si sollevano le casse manualmente e serve una grande forza fisica. L’agricoltura ha ormai strutture e tecnologie adeguate, quando è modernizzata come nel nostro caso. Creiamo ambienti belli, positivi e puliti, anche per questo non abbiamo problemi a trovare collaboratori. Non vogliamo che le nuove generazioni se ne vadano all’estero: qui abbiamo le menti, le braccia, possiamo fare tutto. Detto questo, ci siamo accorti che con la genitorialità viene a mancare un sostegno che consenta a padri e madri di continuare a lavorare. Ne consegue che spesso siano le donne a lasciare il proprio impiego. Questo perché oggi spesso non si hanno nonni a disposizione, per vari motivi, e perché i servizi della prima infanzia non sono adeguati agli orari di lavoro stagionali, oppure non hanno abbastanza capienza per tutte le richieste. Si tratta di garantire il basilare diritto delle persone a poter avere un impiego, senza dover scegliere tra quest’ultimo e la possibilità di allargare la propria famiglia.
Cosa puntate a fare, quindi, per risolvere o almeno mitigare questo importante fenomeno?
In merito al nostro caso specifico di Melanzì, e al nostro territorio di riferimento (Vittoria – Ragusa), siamo riuscite con l’aiuto di Cecilia Russo, proprietaria della cooperativa “Cammino”, e supportate dalle dirigenti Donne di Confcooperative, di cui siamo entrambe socie, a offrire ai genitori accesso a un servizio di asilo nido privato, a un prezzo agevolato e accessibile. Resta il problema dei turni, che per fasce orarie come quella 14-20 non trovano soluzioni abbordabili (un lavoratore stagionale -così come altri lavoratori- non può permettersi retta dell’asilo e baby-sitter con il proprio stipendio). Su questo fronte serve l’incisivo intervento di istituzioni locali e nazionali, ad esempio attraverso dei bandi pubblici che investano nella formazione di professionisti adeguati alla fascia 0-3 anni per coprire una diversa fascia di orario, nella creazione di infrastrutture adeguate e nella copertura dei relativi costi di gestione. Puntiamo a costruire un progetto di welfare rivolto specificatamente alle famiglie rurali.
Quali sono i principali ostacoli per riuscirci specifici per il vostro settore?
Sicuramente il lavoro di squadra, che tocca questo tema come molti altri. Dobbiamo sensibilizzare l’opinione pubblica e unirci per essere più rilevanti nel dialogo con le istituzioni e nelal comunicazione in generale, non ragionare in ottica di “orticello”, magari con una certa diffidenza, e pensare solo al ritorno economico nel breve termine. Risolvendo un problema sociale come questo si darebbe una forte spinta economica all’intero territorio, si agirebbe sui problemi alla fonte. La stessa agricoltura. Se agiamo uniti, si può raccontare con una prospettiva nuova, più attraente ma anche più veritiera. La terra è l’origine di tutto e ci trasmette dei valori che non si trovano altrove: non tutti dobbiamo coltivarla, ma tutti dovremmo conoscerla meglio e riscoprirla.