Una stagione in frenata per l’anguria tradizionale, ma quella a marchio Perla Nera, l’anguria midi a buccia nera con pochi semi prodotta dalle Op Francescon e La Mongolfiera e da Peviani Spa, riscontra una crescita dei volumi, in media del 20%. Merito di una varietà top, seedless ed eccezionalmente dolce, ma anche di un know how acquisito nella tecnica di coltivazione, come spiega Bruno Francescon.
Il successo di Perla Nera è anche merito dell’importante campagna di comunicazione che quest’anno si è sviluppata su tutti i più importanti canali: tv, social, digital, carta stampata, dove si è puntato sia sul mondo cooking che all’universo scientifico e Dooh, che ha dato risultati inaspettati. Per la tv c’è stato il ritorno del testimonial d’eccezione, Gerry Scotti, e la collaborazione con lo staff di Peperissima. Sul fronte digital la collaborazione con Giallo Zafferano. Sulla pagina Facebook è raddoppiato il tasso di engagement, mentre sul profilo Instagram le visualizzazioni dei video sono aumentate del 180%, con un numero di impression che supera i 4 milioni.
Francescon, l’anguria convenzionale ha avuto delle difficoltà, mentre Perla Nera è cresciuta a volumi e valori, di che numeri parliamo?
Siamo cresciuti, abbiamo superato i 700 ettari di investimenti ad anguria Perla Nera contro i 550 dello scorso anno. Abbiamo fatto +20% di volumi e vendendo quasi tutto in Italia, altro dato positivo. Nei mercati ortofrutticoli italiani abbiamo venduto circa un 40% in più di prodotto. Abbiamo ridotto l’export in Europa, mercato che abbiamo scoperto meno recettivo, a causa del clima sfavorevole. Abbiamo mantenuto quasi invariati i prezzi di vendita, a fronte di un mercato convenzionale che è andato decisamente male. È stata pertanto un’annata molto positiva.
Quali sono i punti forti dell’appeal di Perla Nera?
Sono diversi. Il primo è il calibro: la size da 4-5 kg è adatta alle famiglie italiane. Mancava sul mercato un’anguria di media dimensione nell’assortimento della grande distribuzione: c’era quella da 10 kg e da 2. Secondo, qualità costante grazie alla genetica e a uno stringente disciplinare di produzione del quale il gruppo si è dotato
Abbiamo un serrato piano di controlli effettuati da un ente esterno che certifica la qualità del prodotto marchiato Perla Nera prima che raggiunga le piattaforme della gdo. Terzo, è croccante e seedless e piace ai bambini. Essendo senza semi ci permette di raccoglierla matura in pianta per una gestione in campagna e post-raccolta migliore. Anche sul banco passano molti giorni prima che diventi farinosa. L’anguria con i semi, al contrario, è più difficile da staccare in pianta: passa velocemente dal non essere matura a esserlo troppo, dunque diventa farinosa.
Inoltre è mediamente più dolce dell’anguria tradizionale: da uno a due punti brix in più. Se nell’anguria tradizionale è raro arrivare a 11-12 gradi brix , Perla Nera arriva anche a 13-14. Al venti settembre, con l’ultima fornitura, avevamo ancora 12 gradi brix, impensabile con l’anguria tradizionale. E poi la distintività, la buccia nera. All’inizio qualche distributore pensava fosse un limite perché per tradizione il consumatore ama l’anguria striata. E invece questa particolarità, unita al brand e a una campagna marketing accattivante, ha fatto in modo che il consumatore la identificasse immediatamente al negozio.
Può succedere che il seedless faccia perdere a volte l’aromaticità?
Grazie alla genetica scelta, no. Il sapore è diverso e più piacevole.
Dove avviene la coltivazione, come andrà avanti il progetto?
Sono diverse le regioni interessate: Sicilia, Puglia, Sardegna, Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna. Cresciamo con le vendite: non abbiamo alcun cliente che abbia fatto i chili dell’anno precedente: andiamo dal +30 al +50%. Abbiamo fatto da apripista a un nuovo segmento di mercato: qualcun altro si sta cimentando nella produzione di angurie nere senza semi, tentando di imitare il nostro progetto. Per fortuna la maggior parte dei distributori italiani ha capito che Perla Nera non è solo una varietà: è molto di più.
Noi tre produttori esclusivi non eravamo specialisti di angurie. Abbiamo portato la tipica attenzione da frutto delicato, non industriale, investendo in infrastrutture e metodo, allontanandoci da un’ottica di produzione che privilegiava solo i volumi. Nel prossimo futuro credo che ci sarà spazio per un’intera gamma di angurie nere. Noi abbiamo la migliore varietà sul mercato alla quale abbiamo aggiunto raffinate tecniche di coltivazione, cura nella gestione del prodotto e impianti di selezione all’avanguardia: la varietà è parte del progetto, poi c’è il know how.
Nei primi anni di coltivazione era arrivata qualche rimostranza dal cliente: bisogna saperla coltivare. Ormai la produciamo da 6-7 anni e abbiamo capito dove dovevamo migliorare. Abbiamo fatto cinque mesi di fornitura con zero segnalazioni o contestazioni. Per noi il controllo qualità della gdo arriva dopo i nostri controlli serrati che commissioniamo all’ente certificatore. Vogliamo essere sicuri che quando vendiamo il prodotto sia perfetto.
Perla Nera è da agricoltura integrata, che risposte sta dando il prodotto bio?
Sì, abbiamo anche una divisione bio che al momento non ci sta dando i risultati sperati. Dal punto di vista agronomico non ha problemi, crediamo sia un discorso commerciale. Di angurie biologiche ce ne sono poche. L’anguria è il primo o secondo prodotto a chili più venduto durante l’estate, dovrebbe esserlo anche nel bio. In realtà per ora non è così.
C’è l’idea di aprirsi alla quarta gamma?
C’è qualche progetto sul tavolo con alcuni specialisti della quarta gamma, ma è ancora presto per parlarne. Qualche catena distributiva la usa anche nella gastronomia dove si preparano i piatti e viene bollinata all’interno del negozio: la qualità interna di Perla Nera consente di vendere un prodotto già tagliato nettamente superiore.
Quali sono le strategie all’estero?
Inizialmente avevamo visto nell’export, in particolare in Nord Europa, che è già seedless e quindi maturo, la possibilità di prendere qualche spazio ad altri Paesi. Abbiamo poi capito che avremmo avuto maggiore soddisfazione in Italia e infatti qui abbiamo costruito un forte posizionamento di marca, mentre in Europa non ci viene riconosciuto quel differenziale. Teniamo monitorato l’export, in certi momenti è utile. Ma quest’anno ha rappresentato solo il 10% delle vendite, rispetto al 20% dello scorso anno. Il Far East è troppo lontano: inciderebbero troppo i costi.
Migliorie?
Qualcuno diceva che quando le cose vanno bene è ora di cambiare. Ci sono in progetto per il prossimo anno un restyling dell’immagine e nuove strategie di marketing. Le cose vanno molto bene ma vogliamo che vadano bene ancora per molti anni: non ci culliamo sugli allori per continuare a essere leader in questo segmento di mercato.