La melanzana ha 35 mila geni: team di ricerca italiano decodifica il genoma

Lo studio apre la strada alla coltivazione di varietà più resistenti

Dopo la patata e il pomodoro è stato svelato il genoma di un’altra specie della Solanacee, la melanzana. I geni sono risultati di un numero simile: circa 35 mila
Dopo la patata e il pomodoro è stato svelato il genoma di un’altra specie della Solanacee, la melanzana

Un team di ricerca a guida italiana ha decodificato il genoma della melanzana, aprendo nuove strade alla coltivazione di varietà più resistenti a patogeni e cambiamenti climatici. Lo studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, è stato condotto dall’Enea, CreaUniversità di Verona e Torino, in collaborazione con l’Università di Napoli, il Weizmann Institute e la University of California.

La decodifica aiuterà a superare i problemi di riduzione della biodiversità, resistenza a malattie e stress ambientali

Dopo la patata e il pomodoro, di cui sono stati decodificati i genomi nel 2011 e 2012, è toccata a un’altra specie appartenente alla famiglia delle Solanacee. Il numero dei geni della melanzana, uno degli ortaggi più consumati al mondo di cui l’Italia ne è il principale produttore europeo, sono risultati simili, circa 35 mila.

“È stata domesticata oltre duemila anni fa in Asia – fa notare Sergio Lanteri, ordinario di Genetica agraria presso il Dipartimento di Scienze agrarie, forestali ed agroalimentari dell’Università di Torino – e ha subito un ‘collo di bottiglia’ genetico che ne ha ridotto la biodiversità e la resistenza a malattie e a stress ambientali. La decodifica del genoma contribuirà al superamento di queste problematiche”. “Esistono in natura circa cinquanta specie affini alla melanzana più diffusa in Italia (Solanum melongena), di cui alcune a rischio estinzione a causa dei cambiamenti climatici” ha ricordato Giovanni Giuliano, dirigente di ricerca della Divisione Enea di Biotecnologie e agroindustria.

La melanzana sequenziata (chiamata 67/3) è stata sviluppata dal Crea incrociando la varietà “Tunisina” della tipologia tipicamente italiana Violetta con una linea di origine asiatica, per correggerne il difetto della polpa soffice che assorbe parecchio olio in cottura. “Ci ha consentito di comprendere la base genetica di una serie di caratteri agronomici importanti – sottolinea Giuseppe Leonardo Rotino, dirigente di ricerca presso il Crea Genomica e Bionformatica –. In particolare ci siamo concentrati sui geni coinvolti nella colorazione e maturazione del frutto e nella resistenza a patogeni fungini”.

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