Rischia di fallire miseramente il progetto del polo distrettuale del pomodoro da industria del centro e sud Italia nato soltanto pochi mesi orsono proprio per ammortizzare la volatilità di questo comparto e creare una sorta di dialogo tra gli attori della filiera.
Le criticità. Le elevate temperature registrate già da metà luglio che hanno determinato un’accelerazione della maturazione del pomodoro (che peraltro quest’anno beneficia di una resa maggiore rispetto agli anni passati) e i ritardi dell’industria hanno generato divari tra gli attori dei due fronti del comparto, trasformazione e produzione, che neanche l’assemblea straordinaria del distretto riunitasi l’altro ieri è riuscita a colmare.
I passi indietro. Sette delle dodici Op fondatrici (che insieme rappresentano più del 40% dell’intera produzione dell’area meridionale) hanno già formalizzato la richiesta di recesso che sarà efficace a partire dalla campagna 2016. Già pronte ad uscire Apo Foggia, Fimagri, Conapo, La Palma, Apom, Assodaunia e Pomoidea ma il quadro della situazione sarà completo soltanto dopo ferragosto quando si saprà l’esito delle delibere degli altri cda convocati nei prossimi giorni.
I problemi denunciati dai produttori sono legati all’esecuzione del contratto da parte dei trasformatori in corso di campagna.
Gli accordi. «L’industria non sta rispettando gli accordi – denuncia il presidente di Fedagri, Giorgio Mercuri –. Nell’ultimo confronto tra le parti, è emerso addirittura il mancato invio tempestivo, da parte della quasi totalità dei trasformatori, dei dati che comprovano la classificazione del pomodoro che dovevano essere forniti entro le 48 ore dalla consegna e che invece sono arrivati con un ritardo di oltre sette giorni».
Per intendersi, i dati inviati da parte dell’industria, servono ad indicare la qualità che il trasformatore attribuisce al pomodoro consegnato e di conseguenza anche il prezzo applicato in virtù di una precisa tabella definita contrattualmente. In questo senso, l’invio dei dati a trasformazione già avvenuta ha, di fatto, reso vano qualsiasi contraddittorio sulla quotazione per via della mancanza dell’oggetto del contendere (il pomodoro) ormai già trasformato.
I produttori. «Siamo pronti – spiega Giuseppe Grasso, presidente dell’Op Apo Foggia nonché membro del comitato di coordinamento del distretto dal quale si è appena dimesso – a tornare al libero mercato. Prendiamo atto della debolezza dimostrata dal distretto, nato anche per dare garanzie ai produttori che in realtà ha dimostrato di non saper fare rispettare. Lo avevamo accolto come uno strumento per ovviare alle storture di questo mercato caratterizzato da un’elevata volatilità e dall’atomizzazione produttiva che rende ingovernabile l’offerta».
Le alternative. Più garantista la posizione dell’op campana Aoa che parla per bocca del suo direttore, Gennaro Velardo che è anche presidente di Italia Ortofrutta unione Nazionale, membro senza voto del direttivo del distretto. «Per il momento – ha precisato Velardo – abbiamo deciso di congelare il recesso. Vogliamo aspettare a fine campagna e, probabilmente, se le cose continuano così, usciremo anche noi ma è una valutazione che vogliamo fare a bocce ferme».
L’industria. Annibale Pancrazio, presidente del Polo distrettuale, cerca di smorzare i toni nella nota ufficiale diramata ieri: «I dati del prodotto lavorato – dichiara Pancrazio – confermano che le industrie stanno facendo la loro parte, con gli impianti a pieno regime. Ora c’è bisogno di dimostrare capacità di coesione e grande senso di responsabilità da parte di tutti».
Nella stessa direzione anche la posizione ufficiale di Anicav, l’associazione nazionale dei trasformatori che tramite il suo presidente, Antonio Ferraioli fa sapere: «Stiamo già lavorando al massimo delle nostre capacità di trasformazione. Alla trentunesima settimana è stato ritirato circa il 100% in più del pomodoro rispetto all’anno scorso con un trend in crescita ulteriore. L’Anicav non intende coprire e difendere chi non rispetta le regole ed attua azioni speculative che creano solo danni al settore. C’è bisogno, però, che ognuno faccia fino in fondo il proprio dovere, superando la logica delle accuse generiche o delle denunce di massa. Il polo distrettuale deve rappresentate il luogo del confronto e del sostegno reciproco».
Il piano B. Intanto però tra i produttori si comincia a parlare di soluzioni alternative al distretto. Tra i “piani B” al vaglio c’è quello del vecchio progetto di un consorzio di produttori adibito alla trasformazione che by-passerebbe quello che viene vissuto come un giogo dell’industria e che, fino ad ora non è mai stato sviluppato sia a causa dei veti imposti dalle quote europee che dalle dalle politiche regionali pugliesi e campane. «Ma si tratta – precisa Grasso – di un’iniziativa al limite della chimera dal momento che implica ingenti investimenti in un settore molto inflazionato. Ma nessuna strada è esclusa e nella prossima riunione dei produttori ci sarà anche questo punto all’ordine del giorno».